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LIMBO: CAPITOLO 24 – Incontro con il Gigante

Creato il 24 giugno 2011 da Willoworld

Dal libro-blog Limbo.

LIMBO: CAPITOLO 24 – Incontro con il Gigante

INTERMEZZO

Percepiva il suo essere lasciandosi guidare dalla sua immaginazione, una catena interminabile si zeri e di uni registrati su un supporto metallico. La sensazione di dilatamento persisteva, come se due forze opposte lo stessero allungando come si fa con un elastico. La tenebra aveva reclamato l’infrastruttura di Limbo, terra di sogni e di proiezioni in cui lui riusciva a viaggiare come nessun altro. Il Telaio non era più un supporto sicuro, doveva rientrare alla torre al più presto.
Wirlock aprì gli occhi sulle vetrate sotto il mare infinito, dove gli squali passavano con la regolarità di un meccanismo perfetto. Prese posto dietro alla console, accese i video e incominciò la ricerca. Vide le pedine di quel gioco muoversi inevitabilmente verso la montagna sacra, ma nessuno poteva prevedere gli eventi che sarebbero susseguiti. Il vampiro di Limbo distese le gambe, appoggiò la testa dietro le mani incrociate e si mise comodo. Sarebbe stato un bello spettacolo, si disse, proprio come uno di quei film che usava guardare insieme a sua moglie, prima che tutto finisse…

CAPITOLO 24 – Incontro con il Gigante

Nicon ritornò all’accampamento all’inizio del settimo margine e non era da solo. Insieme a lui vi era una donna di nome Ravina, in sella ad una giumenta pezzata, indossava il tipico pojo dei cavalieri della gilda. Aveva uno sguardo fiero, capelli castani che portava lunghi sulle spalle e una spada ben visibile in un fodero di cuoio legato al cavallo. L’uomo spiegò che la donna aveva lasciato la gilda un paio di stagioni prima per andare a trovare i suoi genitori. Ravina salutò i membri della compagnia, poi scese da cavallo e andò ad abbracciare gli altri due superstiti della comunità di cavalieri. Lagoon e Ahmed, felici di ritrovare la loro compagna, si appartarono insieme alla donna per parlare della tragica battaglia in cui avevano perso la vita molti loro amici. Tzadik si sentì escluso, ma non ne soffrì. D’altra parte non era ancora un cavaliere.
«Era l’ora che tu tornassi, Arcon…» disse il mago ammonendo Nicon. «Devo assentarmi per un po’. Vedete di non combinare guai.»
Nicon sembrò sul punto di ribattere, ma poi decise che era meglio rimanere zitto. Se l’Elenty era irritato, aveva probabilmente i suoi motivi, che a lui interessavano relativamente poco. In quel momento al cavaliere importava soltanto di ritrovare i suoi amici, quelli che erano riusciti a fuggire vivi dalla battaglia con i Testimoni di Seidon e Sawar, e guardarsi le spalle dall’Elenty corrotto in cerca di vendetta. Sapeva di non avere molte possibilità. L’unica chance di mettere fine una volta per tutte alla vita di quello stregone pazzo gli si era presentata l’ultima volta che lo aveva incontrato, e sapeva che occasioni del genere non ne capitano più di una nella vita.
Dette disposizioni per affrontare la notte, poi scambiò ancora qualche parola con la nuova arrivata. Ravina sembrava ancora lievemente scossa dai racconti della battaglia sulle pianure del vespro. Forse preda di un senso di colpa per non aver combattuto al fianco dei suoi compagni, propose a Nicon di andare incontro ai superstiti che, con tutta probabilità, si erano diretti verso la montagna sacra. L’uomo le disse che era una buona idea e che poteva portare con sé Lagoon e Ahmed. La mattina dopo sarebbero partiti per le Lande del Disordine, ma come da ordini del loro capo, non si sarebbero addentrati nelle regioni dei troll delle sabbie; avrebbe atteso nella valle a ridosso di quelle insidiose terre.
La notte scese ma il paesaggio rimase velato. Nelle praterie che circondavano la montagna sacra, si accesero migliaia di fuochi e si alzarono molti canti di festa. Jade si avvicinò ai due ragazzi che avevano appena finito di dare da mangiare ai cavalli.
«Che ne dite di andare a fare un giro?» propose la ragazza Kepeer. I due la guardarono stupiti.
«E dove vorresti andare?» le chiese Mylo, incerto se prendere quella proposta sul serio oppure no.
«Beh, non lo so, credo che un posto valga l’altro. Si stanno tutti divertendo, a parte noi.»
In effetti sembrava proprio così. Se quella era la fine del mondo, allora non doveva essere poi così male, pensò l’apprendista mago. Gli Arcon di quasi ogni comunità erano certi che quella non era la fine, ma l’inizio di una nuova meravigliosa era. Le grandi città sarebbero riemerse e Limbo si sarebbe finalmente fermato. Questo dicevano le leggende, e questo era ciò che la maggior parte degli uomini pensava.
«Va bene, andiamo!» annuì Tzadik, dando una pacca sulla spalla dell’amico. «Dai, che ti importa… è o non è la fine del mondo…»
I tre andarono nel vicino accampamento dei Lambadi, gente dalla pelle dorata e dal sorriso facile che li accolsero a braccia aperte. Producevano una birra dolciastra che alleggerì immediatamente i pensieri dei ragazzi. Poche pause più tardi si ritrovarono a ballare attorno al fuoco, vestiti degli abiti tipici di quella comunità, veli colorati e cappelli piumati. Risero e ballarono per buona parte della notte, e se un errore di quel mondo in sfacelo li colse, loro non se ne accorsero. Non se ne accorse nessuno… Si addormentarono vicino al fuoco insieme agli altri membri della comunità, nella notte coperta di Limbo. Nessuno si avvide che la cometa, oltre le nubi che oscuravano il cielo, era scomparsa.

Rivier raggiunse la base di quella roccia gigantesca e guardò in su. Duemila passi più in alto si apriva una breccia in quella parete obliqua disseminata di protuberanze; era l’entrata della dimora del Gigante.
«Rivier, sei tu?» Una voce che non riconosceva lo fece voltare di scatto. Un uomo smilzo, vestito di una tunica verde scura ricamata di zeri ed uni platinati, lo stava osservando. Aveva due occhi profondi e porporini, un paio di vistosi baffi e un bastone corto da passeggio. Dietro di lui vi erano altre figure, tre uomini e due donne ancora poco distinguibili nella distanza. Colui che aveva parlato fece un paio di passi in avanti, zoppicando visibilmente. In quel momento Rivier riconobbe l’uomo; Khandir.
Gli andò incontro a braccia aperte, coprendo velocemente la distanza. L’altro alzò solamente un braccio, perché con l’altro si aggrappava al bastone. «Khandir, quanto tempo…» esclamò il mago dalla veste bianca.
«Beh, secondo i miei calcoli almeno tre interi cicli…» constatò l’altro, sorridendo. I due si guardarono negli occhi. Si erano conosciuti prima di Limbo, in un mondo che stava morendo, e adesso si rincontravano nelle pagine di chiusura di un altro mondo in declino.
«La tua gamba?»
«Oh, un errore del programma. Non è mai tornata a posto dopo la battaglia del sole azzurro.» Rivier ricordava quell’evento. Ivory, un Elenty impazzito, aveva trovato i codici per interrompere il flusso continuò di terre in costruzione presso il sole azzurro. Anche lui come Sawar, voleva l’annientamento di Limbo, e se non fosse stato per l’intervento di un gruppo di Elenty votati alla causa del progetto, forse sarebbe riuscito nei suoi intenti. Rivier e Khandir avevano combattuto fianco a fianco l’orda di creature Arenty che il folle mago aveva lanciato contro di loro, pipistrelli giganti ed arpie, ma uno di questi mostri era riuscito ad afferrare la gamba di Khandir, penetrandola con lunghe fauci avvelenate. Quella ferita non si era rimarginata come le altre.
«Hai intenzione di far visita al Gigante?» chiese il mago dalla veste verde.
«Anche tu ti sarai accorto degli errori…»
«Due giorni fa il letto di un fiume si è essiccato da un momento all’altro. Qualcuno ha parlato di lampi nel cielo senza tempesta, di cavalli con due teste, di sogni nel vuoto…»
«Oceani di tenebra…» precisò Rivier.
«Esattamente…» annuì Khandir. «E cosa speri di trovare lassù?»
Il mago non rispose, non ce n’era bisogno. Mise la mano sul braccio dell’amico e sorrise.
«Chi sono?» chiese, indicando il gruppo di persone che attendevano alle spalle del compagno.
«Vieni, te li presento. Alcuni credo che tu già li conosca. Questo è Atom, mio allievo, un Arcon davvero speciale. Pensa, era il Keeper del mio frame» e detto ciò, mostrò a Rivier l’anello che teneva al dito. «Ecco la mia copia» constatò. «Lei invece è Gaya, forse te la ricorderai. Era nello stesso programma di arruolamento.»
«Certo, ricordo…»
«E poi Mila… lei è entrata dopo. E il suo compagno Arcon, Druge. Hanno una storia interessante da raccontare. Infine Lizar, anche di lui dovresti ricordarti…»
Terminate le presentazioni, i due Elenty tornarono a guardare in su, verso l’entrata della caverna. «Abbiamo bisogno di risposte, non credi?» dichiarò Rivier. «Perché il gigante non si è svegliato? Cosa sta succedendo al Telaio di Limbo? Che dobbiamo fare noi Elenty, ma soprattutto, cosa dobbiamo dire agli Arcon…»
«Comprendo benissimo le tue perplessità e le condivido, ma sai bene che svegliare il Gigante significa morte certa» lo ammonì l’amico.
«Mi meraviglio che tu ancora creda a quello che ci hanno raccontato, dopo tutti gli inganni che abbiamo subito dalla Rete di Hope…»
«Beh, non hai tutti i torti…»
«E comunque non vedo alternativa. Limbo si sta sgretolando, gli Arcon si stanno riunendo attorno alla montagna in attesa di qualcosa che non accadrà mai, i Keeper superstiti sono pronti a consegnare i loro gingilli. Mi domando quanto durerà questa attesa, quanto ci vorrà prima che un fanatico qualsiasi proponga di scalare la montagna…» spiegò il mago. «In ogni caso, possiamo solo ritardare questo evento, perciò preferisco prendere in mano la situazione e cercare di capirci qualcosa…»
«Vengo con te allora…» proposte Khandir.
Rivier guardò l’amico negli occhi. «No, non posso permettertelo. Se mi dovesse succedere qualcosa tu dovrai cercare di trovare un’altra via. Siamo rimasti in pochi noi Elenty, e Sawar è ancora vivo e presto sarà qui.» Quel nome mise tutti quanti a disagio.
«Mi domando come mai non sia già arrivato…» disse il mago dalla veste verde, e così Rivier gli raccontò brevemente quello che era successo sulle pianure del vespro, la battaglia coi Testimoni di Seidon, l’arrivo di Sawar e il colpo alle spalle di Nicon che aveva quasi ucciso l’Elenty corrotto.
«La sua vendetta non tarderà ad arrivare…» constatò Rivier, e gli altri annuirono in silenzio.
«E sia, rimarremo qui ad aspettarti» asserì l’amico, poi si abbracciarono di nuovo con trasporto.
«Sarà meglio che io vada adesso, voglio chiarire questa faccenda prima che scenda la notte» spiegò Rivier. «Aiutami a schermare la mia immagine mentre salgo, non voglio che gli Arcon accampati nella piana mi vedano. Meglio non irritare qualche fanatico, non credi?». L’altro Elenty annuì, poi si prepararono entrambi ad usare i loro poteri. L’aria frizzò in maniera strana, i due maghi si afferrarono la testa dolorante, continuando a salmodiare le parole degli incantesimi.
«Che succede?» chiese Mila, preoccupata. Il mago dalla veste bianca incominciò a fluttuare nell’aria grazie alla magia del volo, una figura vaga resa trasparente dalle parole dell’amico.
«Un dolore lancinante alle tempie» spiegò Khandir, «forse dovuto allo sfaldamento del Telaio. Dobbiamo fare presto Rivier…» L’amico annuì, riprendendosi dalla strana fitta che lo aveva colpito, poi iniziò a sollevarsi verso l’entrata della caverna. Il volo durò il tempo di alcune pause. Rimanere concentrato era stato più difficile del solito, pensò. Era più che probabile che i recenti cambiamenti strutturali del mondo influenzassero l’uso della magia.
Rivier atterrò sulla cengia a ridosso del buco nella roccia, coprì con tre passi veloci la distanza che lo separava dall’entrata, poi venne risucchiato dall’oscurità di Mountoor. L’aria divenne fredda e umida. La sensazione era quella di trovarsi in un corridoio scavato nella roccia che scendeva gradualmente verso il cuore della montagna. Proseguì per molti passi verso il basso, finché la luce che proveniva dall’esterno venne totalmente assorbita dalle tenebre incombenti, poi accese una flebile sfera sul palmo della mano, una magia semplice che però gli fece tornare il mal di testa. Rivier andò avanti, ignorando l’incombenza asfissiante delle pareti di roccia che lo sovrastavano. La pendenza del corridoio diminuì rapidamente e si ritrovò a proseguire in piano dentro il centro della montagna. Apparve un riverbero di luce nella distanza, un barlume giallognolo indefinibile. Il mago oscurò la sfera luminescente che teneva sul palmo e proseguì in silenzio, respirando profondamente. La luce delineò presto la fine del corridoio. La temperatura si stava alzando. Un vento caldo proveniva da laggiù e Rivier capì che il colore di quella luminescenza doveva appartenere ad una grossa fonte di calore. La sua intuizione venne confermata appena l’Elenty si sporse per vedere oltre l’uscita del corridoio. Una caverna di cui non si riusciva a scorgere la fine, fatta di pareti di fuoco, si apriva davanti a lui. In alto e ai lati le fiamme guizzavano come serpenti vermigli, perdendosi nell’oscurità dietro ad un immane trono di roccia, sul quale era seduto un uomo gigantesco dalla pelle bronzea, alto almeno cinque volte un normale Arcon. Il suo volto era nascosto da un elmo cornuto fatto d’acciaio e sulle ginocchia era posata un’ascia di proporzioni inaudite. Il gigante non sembrava dormire, perché la sua postura sul trono era dritta e l’elmo gli nascondeva gli occhi, ma Rivier sapeva che l’essere più potente di Limbo era ancora in attesa del segnale, nonostante l’eclisse avesse dovuto destarlo. La sua possanza era qualcosa doloroso per la vista. Il solo fatto che esistesse, anche se immobile, dormiente, bastava a tener lontani gli Arcon di Limbo ed ogni creatura esterna. L’Esterno, come usava definirlo il mago Elenty, doveva trovarsi dietro il gigante, nell’oscurità infinita di quella caverna di fuoco.
«Cosa ci fai qua?» la domanda esplose nella testa del mago come il boato del tuono. Il gigante continuava a dormire, però era in grado di parlare dal mondo dei sogni. Rivier non si fidava della struttura del Telaio, avrebbe potuto raggiungerlo laggiù, in una forma diversa, ma preferì rimanere aggrappato alla realtà, scoprire quello che poteva scoprire grazie all’arte della parola.
«Il momento è giunto…» disse il mago, proiettando la frase nello spazio dal quale era arrivata la domanda.
«Sciocchezze!» urlò il gigante nella sua testa.
«Limbo sta cadendo a pezzi, Gigante. La nostra unica salvezza è uscire di qui.»
«Falsità!» la parola raggiunse Rivier come il suono di mille fruste.
«Il fatto che tu non ti sia accorto del segnale è una prova che Limbo sta fallendo. Dobbiamo uscire di qui, altrimenti tutto sarà perduto…» La temperatura nella caverna stava ancora alzandosi. L’Elenty sapeva di non avere molto tempo a disposizione.
«Tu menti, Elenty. Voi mentite… tutti e due!»
«Tutti e due? Che significa, Gigante?»
«Tu e l’altro. Anche lui ha detto la stessa cosa… siete menzogneri!»
«Chi è l’altro?» chiese Rivier, asciugandosi il sudore che gli colava ormai copiosamente dalla fronte.
«Il vampiro…»
Poi il calore divenne insopportabile. Il mago tornò indietro verso il corridoio, risalì velocemente cercando un po’ di refrigerio. Sapeva che sarebbe stato inutile tornare a parlare col Gigante, e comunque adesso la cosa era di secondaria importanza. Chi era il vampiro, si chiese. Chi avrebbe potuto parlare col Gigante di Mountoor, se non un altro Elenty. Rivier, anche se non sapeva perché, era convinto che se avesse scoperto l’identità di questo vampiro, forse ci sarebbe stata ancora una speranza.
Uscì all’aperto nella notte di Limbo, alzò lo sguardo al cielo cercando la cometa, e per la prima volta da quando aveva aperto gli occhi su quel mondo fittizio, non riuscì a trovarla.

GM Willo per Limbo


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