Un meccanico poeta più impegnato a fare il meccanico che il poeta, Giannantò, eccelso nell'arte del pimpòn, della pèzza da lambrusco, della quartina a schema libero, del nonsenso e del motteggiare in esperànto.
Giannantò-mani-impiastricciate-di-grasso.
Giannantò-fascinazione-nella-salopètta.
“Neniam mi vidis la maron”, sentenzia quando l'autista della corriera “(gesto) sbrigati Giannantò che c'è d'andare al mare (gesto) movalà, cos'è che blateri”.
Giannantò è quello dell'officina coi mattoncini rossi, all'angolo, con la facciata che sembra il Palais des Beaux Arts di Parigi, ma senza Parigi, né bellearti, né palazzi tutt'attorno.
Dentro al tempio di Giannantò ci sono molte ròbe che renderebbero un ometto felice: un calibro a corsoio, un truschino, un arravojo, una barra sinusoidale, un contafiletti elicoidale, pinze seghetti mazzette, tenaci tenaglie, chiavi inglesi tedesche e didovenonsò; un paranco, una brocciatrice, una fresatrice, una lappatrice, una meretrice (sua sorella), un lapidello, un martello, suo fratello, un maglio, una maglia trisunta, una pialla, una pressa, un tornio.
“Neniam mi vidis la maron, sgonfione: mica mai visto, io, il mare, eppure mai morto, oh, coglionerie anzichenò (borbottii e brontolacci), impara l’esperanto, sciocco!”.
“Famm'il pieno, icchennùnche, movalà”, s'agita quello colle maniche di camicia azzurre.
“E di che te lo fo?”, Giannantò. “Vuoi mica un po' del mio gasolio-non-gasolio?”.
“Lascia perdere, va”.
E se ne va.
Se c’è una cosa di cui va fiero Giannantò è quella pompa a gasolio senza gasolio: ce l’ha da una parte, nel cortiletto, “senza gasolio” sta scritto su una placca di metallo, con le lettere intagliate, fa molto ridere. Dalla pistola sgorga benzina, che infatti mica è gasolio.
Che poi, averci una pompa a gasolio senza gasolio è un po’ come averci una sorella senza che tua madre abbia fatto figlie (non regge), come averci un’officina senza niente da riparare (non regge neppure questa), come sapere una lingua che non parla nessuno, una lingua-non-lingua. Ecco cos’è simile al gasolio-non-gasolio.
“Giannantò”, gl’han detto un giorno, succhia carburante come i motori a iniezione, Giannantò, e li comprime in combustioni interne, “lo sapevi mica che Diesel, quello del gasolio, sapeva parlare l’esperanto?”. “Dì un po’ com’è, questa storia”, invitava lui, e allora gliela spiattellarono così com’era, di Rudi Diesel e degl’elogi per questa lingua sintetica che faceva risparmiare energie, tempo, lavoro, denaro, anche se tu, dei parlanti, l’avevi mai visti? Una lingua-senza-lingua; un po’ come il gasolio-senza-gasolio.
"I lavoratori devono" c'è appeso dentro l'officina di Giannantò, "duepunti", sulle piastrelle pregne di sozzura motòrica: "evitare d'usare pipe e pipette durante il moto, prendere il toro per le corna, sorridere sempre, imparare l’esperanto che così risparmiamo tempo, fatica, denaro". "E usare quanto più gasolio senza gasolio", poi c'è scritto. "Punto", dice. Punto.
Diesel, alla fine, Rudolf, a un certo punto è impazzito: sbalzi d’umore, paranoie, instabilità, s’è buttato dal parapetto d’una nave mentre attraversava la Manica.
Giannantò, poi, alla fine, all’officina non c’andava più nessuno, neppure un operaio, c'era; serbatoi da riempire col gasolio-non-gasolio: men che meno.
Per questo s’è spogliato tutto nudo, Giannantò, un martedì di primavera. S’è cosparso del suo gasolio-senza-gasolio, che poi era benzina, infatti piglia meglio, la benzina, e s’è dato fuoco.
Ecco perché le serrande son sempre giù.
Ecco perché.
Domenica abbiam fatto questa passeggiata in bicicletta per il centro di Forlì, c'erano un fracco di persone e pure due assessori, uno portava il caschetto. Poi c'era un vigile coi calzettoni al ginocchio e la pistola, ma non c'entra troppo.Domenica a Forlì abbiam letto questo mio racconto, dentro l'atrio dell'ex deposito dell'atr.Non c'ero mai stato, dentro l'ex deposito dell'atr, avevo solo visto queste tre foto. Noialtri a Forlì e agli spazi indecisi si vuole molto bène.