Durante una visita turistica a Toledo Lisa, una giovane turista, si allontana dal gruppo e finisce a visitare un negozio di artigianato, all’interno del quale trova un inquietante figuro dai modi piuttosto gentili (Telly Savalas, il Theo Kojak che tutti ricordano), somigliante tremendamente ad una raffigurazione demoniaca vista in un dipinto poco prima. All’improvviso Lisa sembra ritrovarsi catapultata in un mondo diverso da quello in cui trovava…
In breve. Un ottimo film dall’atmosfera oscura ed avvolgente, capace di raccontare una storia terribile con grande classe: da non perdere.
Recuperato solo nel 2004 (fonte), si tratta probabilmente di uno dei film più suggestivi di Mario Bava, che segna un passo importante nella sua cinematografia e che rappresenta per vari versi un vortice di parallelismi, ambiguità e doppi fili che si sveleranno soltanto nel finale. Nel frattempo Lisa, interpretata da Elke Sommer nonchè ovvio archetipo di bellezza “settantiana”, finirà per smarrirsi modello Alice, in una storia in cui i personaggi figurativi di un dipinto sono diventati reali, il marito della protagonista assume le sembianze di un fantoccio e si scomodano vari simbolismi, per l’epoca, piuttosto suggestivi e tutt’altro che scontati (l’orologio che si spacca, la confusione deliberata e mai chiarita tra sogno e realtà). Se è vero che il mutare dell’ambiente attorno alla protagonista lo rende quasi archetipico di molte altre storie di orrore surreale a venire, si aggiunge un immancabile elemento romantico alla storia, capace così di evidenziare un amore impossibile che, neanche a dirlo, sfocerà nella più nostalgica e disturbante necrofilia.
Non è azzardato pensare, a posteriori, che ad esempio il Fulci più visionario possa essersi ispirato a questa pellicola qualche decennio dopo (L’aldilà e soprattutto Quella villa accanto al cimitero), confermando così un merito artistico enorme per chi, invero modestamente, si definiva un semplice artigiano dell’orrore. Altri personaggi ed ambienti che popoleranno l’intreccio, tra cui la villa labirintica in cui si svolge la maggioranza della vicenda, il figlio succube di una madre autoritaria (e cieca), nonchè la continua ed insistita ambiguità tra vita e morte, conferma “Lisa e il diavolo” come uno dei migliori film del terrore “puri” di Mario Bava (probabilmente solo dopo La maschera del demonio). Alla morte non si sfugge, sembra voler ricordare il regista, come già un anno – con toni più accentuati e da exploitation di quelli gotici visti in questa sede – all’interno di Reazione a catena.
Il film venne distribuito come “Lisa e il diavolo” (fedele alla volontà di Bava) ma anche, con l’inserimento di scene extra e di un parziale stravolgimento “esorcistico” della trama (per volontà del produttore, e sulla scia del noto film di Friedrick) come “La casa dell’esorcismo“; attualmente esistono due versioni in commercio del film, la prima della RaroVideo che comprende entrambe le version,i e la seconda della Minerva Pictures contenente soltanto la seconda.
“Ma come posso combatterti se non ti fai nemmeno vedere? Ma dove sei, vigliacco, esci dalle tenebre, fa’ che io ti veda!”