“CORPO MORTO”
Col corpo morto
abbandonato,
da un po’,
sulla strada delle arti
nobili e belle sta,
il cadavere
nascosto, tra la polvere poetante.
Acqua e luce mancano
le braccia baracche,
scheletri d’affetti
dalle stanze vuote.
Un urlo straziante, lungo, malato,
fa a pezzi quest’altro respiro
che se ne scivola via,
vuoto, inutile,
tra gli sospiri di ghiaccio
della regina della neve,
finché il dolore
non si sente più.
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“DENTRO ME”
Ricordi laggiù, vicino a quel lago
Che solo acqua è, chi mai avrebbe detto che
Un sorriso nascesse proprio lì
Nascosto da una carezza
Che cancellò per un istante
Il fango di parole che mordono.
Ora è giorno é
Un sorriso e mi sveglierò
Solo una piccola sorpresa avrò
Dal giorno che dorme ancora,
vedere te tutti i giorni che questo cielo ha.
Una carezza e mi risolleverò
Con gli occhi ancora chiusi e con le mani cercherò
Il caldo del tuo respiro
E avrò la paura di chi sa
Che dolce è la vita
Piano girerò le coperte per non svegliar
Il sonno dell’amore senza accorgermi che
Dormito mai non ha
E ancora è la… o qui,
accanto a me.
Il sole s’alzerà
E riscalderà già l’aria stanca di sogni
E di dolci dolori…
Un sorriso e ti sveglierai
Solo con gli occhi alzerai
Il giorno che non può dormire più.
E sarà quello che ora è…
Io e te…
E’ il giorno, senza scuse
Solo colori
Per cancellare i nostri lividi
Per regalare un sorriso.
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“LA LUCE RIMBALZA”
La luce rimbalza
entra nell’ombra
scava negli angoli
sale in alto, da sotto raddoppia
come fosse prigioniera d’un diamante,
d’uno specchio, d’una bianca lampada
accesa dentro il tempo, fermo,
nei pensieri, che illumina quello che vede
e quello che le parole non dicono mai,
che racconta del destino,
luce che vede dentro e vede dopo
poi, quando non c’è più occhio a vedere
l’aspetta in riva al mare
dove a saper aspettare
c’è sempre qualcosa che arriva
e qualcuno che torna.
Vorrei rubarle il segreto
e portare con me quella luce
Ma dovrei poi rubare il mare,
che tinge di blu il cielo,
le strade fatte di perla,
le case dai tetti rossi
dai muri gialli e bianchi,
verde e rossi, azzurri azulejos,
così la luce tornerebbe a rimbalzare
fino a triplicare, in tutti gli angoli
e porterebbe via, anche tutti i colori bui
ma anche l’amore…
perché è così che funziona:
la luce prende quello che trova
quando passa.
Non posso rubar quella luce
no, perché sarebbe come rubare il tempo,
come sfilar la lama d’una spada
immobile nella ferita,
come spogliar dai vestiti
le case attorno
che sono come l’aria e come l’acqua
e come amar una donna:
unica e felice perdizione.
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“NASCONO GOCCIE DAL PASSATO”
Nascono gocce dal passato
che bugiardo racconta
di quel dolore mai finito.
Musica d’amore
scivola via solitaria.
lampi di luce,
gocce che muoiono giù,
tra le dita dei piedi.
Nascono sorrisi
dietro la luna
ed hai voglia di volare.
Restano gocce
cristallizzate dall’ambra
e della tua vita ne farò un bicchiere
per bere tutte le pene
da ora in poi.
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“NELLA PENOMBRA DELLA STANZA
ASSORTA”
Nella penombra della stanza assorta, il silenzio.
La striscia vivissima tra le imposte accostate,
denuncia calcinosi biancori
che fuori bruciano di sole.
Tutta la contrada ne arde.
Silenzio e penombra nella stanza assorta.
Non ci guardiamo negli occhi;
le parole sono
come qualcosa di materiale
che ci avvicina,
ci isola, che ci fa male: aspettiamo.
Come gocciole, lentamente si formano
Su le nostre labbra
Parole che eludono
Un istante per poi cadere senza rumore,
sui sensi guardinghi e torpidi.
Di fuori v’è tanto calore
Che sembra faccia baccano,
che faccia rumore
tutto quel gran sole!
Qui dentro: una dolce penombra.
Gocciole, le rade parole, si fanno più rare.
Vorrei s’affrettassero: farne uno squillo
D’un gaio zampillo
Di dolci parole:
Ricordi?…
Ricordo.
Ma più che le labbra ricordano i cuori;
Intanto di fuori,
più pazzo che mai
infuria il dio sole-
La guardo: questi anni
Le hann tolto il migliore,
il profumo e vivezza;
è un povero fiore che sa di vecchiezza.
Ha sempre quegli occhi, gli occhi soltanto,
di quando era bella
di quando
baciava serrando i denti suoi belli,
tremante…tremante.
Mi parla sommessa:
rammenta,
rammento;
no scuote il torpore il vano ricordo:
qualcosa ch’è morto ci pesa,
ci pesa, ci pesa qualcosa ch’è morto.
Dicesti…ricordi?
Ricordo, ti dissi
Un piccolo riso le illumina il viso:
Ricordi?
Ricorda il poco ed il molto;
su certi ricordi, talvolta, si tace.
Rammenti che baci?
I dolci, abbandoni,
la febbre
dei giorni passati?
Non tento il ricordo;
mi sembra che possa bruciare,
soltanto al ricordo
che possa tornare quel fuoco oramai spento
a bruciare
e non voglio, non voglio;
ma pure m’è accanto
calda preda viva,
l’istinto ridesto mi balla nei polsi:
un canto di carne, di folli carezze,
brucianti invadenti.
Di fuori c’è il sole
Che brucia, che infuria;
tra noi la penombra e l’ombra di un fatto
ancora incompiuto,
che sa di misfatto:
E’ un’ombra che pesa;
qualcosa ch’è morto
ci pesa, ci pesa qualcosa ch’è morto.
Dicesti…
Ricordi? Ricordi? Ricordi?
M’è accanto leggiamo
Con occhi diversi,
diversi pensieri,
le stesse parole,
se allungo la mano,
appena di poco, la sento,
la tocco, vicina vicina.
E’ quasi il miracolo rinnova la carne,
rinnova; ma sento
qualcosa ch’è morto, pesarmi…pesarmi
e ‘l gesto pensato
incompiuto, s’arresta.
L’ombra, il silenzio, venuti più grandi
Mi fanno stupito.
E’ andata scomparsa, così come un sogno,
ne bello ne brutto, un segno.
Un senso lontano di vago tepore
Mi scalda nel core una speme.
Rimpiango?
Ma no: un bel frutto,
trovato, gettato,
che importa?
Sta zitto mio cuore:
La donna è un gioiello,
un ninnolo, un nulla;
è tutto un istante
poi, ridi e dimentica.
La vita è una giostra
di ninnoli in mostra
disposti per te.
Rimpiango? Ma no!
Un frutto trovato,
gettato?
Che importa?
Tu suggine il succo
Poi, passa:
la vita è una giostra
di ninnoli in mostra
apposta per te.
Silenzio, penombra;
la stanza è più assorta;
di fuori, v’è tanto calore;
che baccano,
non tanto dolore
ed è strano
che tutto il rumore di prima
non ci sia oramai più
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“SENTO UN ECO”
Sento un eco
Rimbomba e ruzzola
Dritto nel cuore dei cani
Sporchi e puzzolenti.
Dietro l’ultima curva
Ho scoperto dio musicista
Suona una musica morbida,
intima gioia di spiritualità
e così diventa più terribile
non poterne sentire l’armonia.
Restami accanto
Proteggi quest’anima ricucita
Tra le lettere d’una poesia
Che ho perduto,
tra i petali d’una prosa
che delicata non è
annodate tra le presenze isteriche
Libere nell’aria di questa primavera.
Sto ricomponendo le rose del passato
E quando tutto sarà finito
Il vento tacerà dietro di me,
il sole s’alzerà dietro l’arida città
perché, l’amore soffre e fa soffrire
mentre, mi chiedo cos’è che sparisce
rapido nel vento.
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Mi chiamo Livio Cotrozzi, ho quarantaquattr’ anni sono alto un metro e novanta e peso settantacinque chili.
Sono nato a Roma, figlio d’una napoletana e d’un toscano mancato, che da piccolo mi portava a giocare vicino al fatebenefratelli e a giocare vicino a quei mostri qualcosa m’è rimasto dentro.
Mio padre è il più grande pittore represso che conosco. Io il migliore scrittore. Amo le matite e le penne ma ho imparato a scrivere tardi, visto che la mia famiglia era più impegnata a traslocare che a campare.
Ho fatto la scuola più brutta del mondo: il liceo tecnico industriale perché mia madre si fidava poco e lì c’era uno zio che faceva il professore, che non solo non mi controllava ma che copriva le mie assenze, che riempivo nei musei e nei cinema della capitale.
Nel 1982 entro a far parte d’una delle prime emittenti televisive d’italia, come tecnico della messa in onda e nel 1985 già dirigevo uno dei primi programmi sportivi. Oggi sono un montatore specializzato in documentari e autore di alcuni.
Nei rari momenti di lucidità ho scritto un saggio su un programma televisivo di fantascienza molto famoso e un romanzo breve.
Sono miope, con un leggero astigmatismo, qualche molare cariato e mal curato. Fumo pochissimo e solo mentre guardo i cartoon. I capelli sono incasinati ma puliti e soffro terribilmente il freddo. Porto la cravatta solo ai funerali.
Ho la patente ma giro il mondo solo in moto, pubblico dal 1976, anche se troppo poco ed ho scoperto il web solo da 7 anni. Faccio fatica a scrivere anche se amo da morire farlo, vivo con mia moglie e con il mio gatto. La prima si prende cura delle mie paranoie, il secondo mi chiede solo di giocare.
Tratto da Sangue Fatto di Grappa, Poesie 2000-2006 di Livio Cotrozzi, Collana: Poesia Contemporanea
Edizioni Kult Virtual Press
Featured image, replica della prima motocicletta Daimler, che risulta la prima moto con motore a scoppio, la Daimler Einspur, fonte Wikipedia.