Avevo in mente di iniziare questa recensione con un bel discorso pensato e profondo, circa come la lettura dei libri di Tolkien mi abbia condizionato parte dell'adolescenza e a come sono cresciuto coi film tratti delle sue opere. Invece mi tocca inizialo con una profonda stizza. Non solo perché Un viaggio inaspettato e La desolazione di Smaug sono stati due film a loro modo deludenti, ma perché per vedere questo ultimo atto della nuova trilogia (che davo già per scontato non mi sarebbe piaciuto, ammetto) ho dovuto patire le pene dell'Inferno. Volevo andare a vederlo settimana scorsa, di domenica sera, ma sono stato così furbo da non prenotare e la sala è stata gremita da un manipolo di bimbiminkia, così dopo che il bigliettaio ha annunciato che i posti erano terminati, io e i miei amici di merende siamo rimasti fuori. Ci abbiamo riprovato quindi pochi giorni fa, prenotando e applicando tutti i crismi necessari. Solo che una volta arrivati in sala, dopo mezz'ora di pubblicità e manco un trailer interessante, ci siamo accorti che eravamo andati a vedere Gone girl e che il bigliettaio maledetto ci aveva rifilato i posti di sala sbagliati. Film molto bello, per carità, sicuramente superiore a quella che è questa minchiatina... però l'avevo già visto, così ho dovuto abbandonare la sala perché questo era iniziato e mi sembrava di sprecare tempo vedendolo quando l'unica parte che mi interessava (quella col drago) era passata. Così bestemmiando Eru Iluvatar e tutti i santi di Ea me ne sono ritornato a casa. Ieri sera ci abbiamo riprovato e sembra che sia andata bene... finalmente! Ma valeva la pena di passare tutte queste tribolazioni per un film simile?
Il drago Smaug viene finalmente ucciso, ma i guai non sono ancora finti. Thorin Scudodiquercia, ora che ha riconquistato il tesoro di Erebor, ha contratto la Malattia del Drago, e vuole spingere a una guerra sanguinaria...
No, non ne valeva la pena. Ma semplicemente perché tutta l'operazione che sta dietro a Lo Hobbit è quanto di peggio sia stato fatto nella storia recente del cinema d'intrattenimento. E la cosa grave è che è stata perpetrata per mano di colui che della Terra di Mezzo ne ha fatto motivo di vanto, mettendo in scena l'impossibile e, soprattutto, riuscendo a farlo in maniera credibile. Perché nonostante il fantasy viva, come suggerisce il nome, di fantasia, c'è modo e modo di strutturarla. Anche la fantasia deve avere un sua coerenza, un suo studio e, soprattutto, una sua dignità. Non basta mettere dei mostri a random per fare un buon fantasy, creature e magie devono essere strutturate in un'ambientazione credibile e in una metodologia narrativa che possa avere una propria compattezza. Altrimenti, non si ha un fantasy. Si ha un troiaio. Petruzzo Giacometti ha sempre dichiarato di aver svolto questi film per contratto e la cosa si vede, perché è la noia a regnare sovrana. E la noia di un narratore è quanto di più vicino alla morte esista, perché vuol dire che la storia non si muove per un proprio moto, ma va avanti in automatico. Una storia è come un percorso a ostacoli per un ginnasta: ha le sue depressioni, le salite e le pendenze, cosa che fa rimanere sveglia la mente del corridore e lo costringe a pensare. Se la strada è dritta, allora farla non ha senso, perché non affina nessuna capacità. E potremmo stare anche qui a elencare tutte le minchiate che stanno in fase di scrittura ma, come ripeto sempre, la scrittura è solo un aspetto secondario di un film. Prendiamo The dark knight rises e confrontiamolo con questo film. Sono entrambi dei film scritti coi piedi, ma quello che rende il film di Nolan salvabile è proprio la regia, che in certi passaggi riesce addirittura a pernacchiare tutto ciò che di sbagliato stava nello script, riuscendo in certi attimi anche a emozionare. Qui non c'è emozione. Le scene, anche se prese come elementi singoli, non riescono a trasmettere nulla. L'unica che è salvabile è quella del rinsavimento di Thorin, che guarda caso si estranea dal contesto fantasy, concentrandosi unicamente sulla natura corrotta del personaggio [il che ci fa riflettere sul controverso tema del possesso implicito in quasi ogni opera di Tolkien], ma per tutto il resto c'è unicamente il nulla assoluto. Persino Spider-man 3 aveva una maggiore coerenza, pur essendo un film del menga, proprio perché la regia che ne stava dietro riusciva a dare una fluidità che riduceva il (grosso) danno che era stati fatto. Peter Jackson manco ci prova. Mette elementi a casaccio, mostri che compaiono una volta, tipo i vermoni che sembrano usciti da Dune, e di cui poi non si parla più, insieme al finale di molti personaggi che viene omesso - non che ci interessi particolarmente, ma dell'arciere e dello sgherro del capovillaggio perché non ci viene detta la fine? E l'uccisione del drago... mio Dio, una delle cose più orribili che io abbia mia visto e che butta nel vespasiano tutto il buono che si era riuscito a fare col secondo capitolo. Ed è proprio nella battaglia che segue che si scopre la vera natura di questo film, perché presenta pezzi messi a caso, fatti con una CG che sembra nettamente peggiorata rispetto a dieci anni fa, frutto di un lavoro di editing effettuato su materiale girato che, molto probabilmente, manco loro sapevano come gestirsi. Ma quello che mi ha dato maggior fastidio è proprio tutto l'alone di finto che sembra rivestire la pellicola, dove l'uso della computer grafica è troppo massiccio e non da una giusta 'credibilità' al film. che perde anche quel minimo tocco di artigianalità che era riuscito a mantenere la trilogia storica. Forse questo è unicamente il nuovo che avanza, l'industrializzazione condannata proprio da Tolkien stesso e che si riversa anche sul mondo del cinema, ma purtroppo non è il genere di cinema che voglio. E forse non è manco il cinema che vuole Jackson, ma la produzione forse ha compreso che se si attinge da del materiale succoso, ci saranno sempre dei beoti (tipo me) che si fionderanno al cinema. Anche se, nonostante il titolo, il protagonista non è l'Hobbit Bilbo Baggins, così come non lo è Thorin o altri. Forse non c'è nessun protagonista perché a conti fatti non c'era davvero nulla di cui parlare.
«Se la gente pensasse più a casa, anziché all'oro, questo sarebbe un mondo migliore», dice Thorin verso la fine. Beh, a ripensarci, mi sembra che dentro ci sia un po' di cinico umorismo.Voto: ★★