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Lo sconfitto (di Valerio Pierantozzi)

Da Villa Telesio
Lo sconfitto (di Valerio Pierantozzi)

“Regalo di Natale” (di Pupi Avati, 1986)

Eccoci di nuovo lì, ancora una volta – la terza in tre anni – intorno a un tavolo con sigarette birre e whisky a stemperare la tensione altissima, in una serata che avrebbe deciso il futuro di uno di noi.

Un tavolo verde, per la precisione. Per una partita a poker terribilmente seria.

Tutto era cominciato 3 anni prima, quando sei amici in una serata un po’ alticcia avevano stretto un patto d’acciaio. E segreto: nessuno avrebbe dovuto raccontare cosa sarebbe successo entro quelle quattro mura.

Sei amici, si diceva. Chi perdeva veniva eliminato, definitivamente.

Bob era stato il primo. L’anno dopo era toccato al povero Andrew. E adesso eravamo rimasti in quattro: Frank, Max, Matthew e, ovviamente, io.

Le regole erano semplici: poker classico, non texano e senza telesine. Si continuava finché qualcuno – lo sconfitto – rimaneva senza fiches.

La partita andava avanti già da oltre un’ora e non si può certo dire che andasse bene per me. Frank era in vantaggio su tutti, Max e Matthew cercavano di non affondare e io invece ero in una situazione piuttosto critica.

Max è il mazzaro. Matthew apre, quindi ha almeno una coppia. Gli altri seguono a ruota. Guardo le mie carte: ho una coppia di 8. Partiamo già male: per aprire ci vuole almeno una coppia di Jack, quindi Matthew è già sicuramente in vantaggio su di me. Punto comunque, non posso giocare troppo in difesa (sarebbe un lento suicidio) e cambio tre carte.

Impilo il mio mazzetto e inizio a scoprirlo molto lentamente.

Un 9.

Mmm.

Un altro 9.

Bene, ho una doppia coppia. Potrei giocarmela con un po’ di fortuna. Scopro l’ultima carta.

Un altro 8.

Cazzo, ho full! Questa sì che è una buona mano. È un full piuttosto basso, ma è sempre un ottimo punteggio.

Osservo gli altri e mentre lo faccio mi accorgo di aver compiuto un errore da vero dilettante: non sono stato attento al numero di carte cambiate dai miei avversari. Cerco di dare uno sguardo alle alle scartate, ma non è facile a questo punto.

Parola all’apertura: Matthew fa cip. Io faccio un rilancio basso, perché voglio cercare di capire il gioco degli altri prima di fare altre mosse. Frank mi guarda e triplica la mia puntata. Sarà un bluff? Che avrà in mano? Cerco di capire. Intanto Max e Matthew lasciano. Logico: non vogliono rischiare. In questa serata non conta chi vince, conta chi perde. Rimango io, quindi.

Penso al da farsi. Non mi rimangono molti soldi, accettare il suo rilancio vorrebbe dire mettermi sull’orlo del burrone. Ma forse Frank punta proprio a questo, al fatto che ho pochi soldi e che è rischioso per me seguire il suo gioco. Forse è un bluff. Vado.

Pareggio la sua puntata e gli chiedo di scoprire le sue carte.

Colore a picche.

Merda, il mio full va a farsi fottere. Sono fregato.

Tocca a Matthew dare la carte.

Impilo le mie e le “stuzzico”.

Un 10.

Un altro 10.

Bene, penso senza fare alcun movimento con la faccia.

Un asso.

Carta alta, buono.

Un kappa.

Mmm.

Un altro 10.

Tris! Ottima partenza. Posso aprire e tutti gli altri mi seguono.

E ora c’è una di quelle situazioni che possono cambiare il corso della serata: che fare, cambiare due carte o magari una sola tenendo l’asso? Se ne cambio due ci sono più probabilità che possa uscirmi il quarto 10, ma tenendo l’asso potrei puntare anche a un ottimo full. No, preferisco giocarmi il tutto per tutto.

Cambio due carte, ma stavolta prima di guardarle voglio vedere quante ne cambiano gli altri. Frank cambia una carta e così anche Max. Matthew addirittura tre. È ora quindi di stuzzicare le mie carte.

Un asso.

Merda, avrei fatto full. Maledico in silenzio la mia scelta. Che serata scalognata, non è possibile, non posso perdere così, non posso, la posta in gioco è troppo alta.

Un 10.

Poker! Cazzo, è successo. Alla fine ho fatto bene, la mia scelta si è rivelata azzeccata. E speriamo anche vincente.

Devo puntare. Ma quanto? Mi sono rimaste poche fiches. Se punto poco vinco poco, ma se punto tanto potrei indurre gli altri a mollare. Decido per una via di mezzo e lancio in mezzo al tavolo metà del mio gruzzolo.

Frank mi guarda, scruta la mia mente. Io gli sorrido e lo provoco: “Dai, vieni, è chiaro che sto bluffando”. Sorride anche lui, osserva attentamente le mie fiches e raddoppia la mia puntata. Vuole farmi fuori il bastardo.

Max lascia. Probabilmente ha tentato una scala semplice e gli è andata male. Matthew lo segue. Me lo aspettavo. Tocca di nuovo a me.

Frank ha rilanciato. Che stia bluffando? Non credo. Ha scientemente puntato la stessa cifra che mi è rimasta perché vuole che io veda le sue carte. Mi ha sfidato in pratica. Ma che punteggio potrebbe avere? Ha cambiato una carta. Potrebbe esserglisi incastrata una bella scaletta. Oppure un full, se aveva una doppia coppia. O anche un altro colore. In ogni caso vincerei. Per superarmi dovrebbe avere una scala reale, ma cavolo, è difficilissimo. Batterei tutti record di sfiga. Potrebbe anche avere un poker superiore al mio, ma tenderei a escluderlo: ha cambiato una sola carta, che senso avrebbe?

In ogni caso arrivato a questo punto non posso che pareggiare la sua offerta. Ritirarsi non avrebbe senso, riuscirei a malapena a giocare la prossima mano e con il punteggio che ho sarebbe da idioti ritirarsi.

“Forza, che hai Frank”, dico nervosamente. Per quanto abbia un poker la posta in palio è troppo alta per stare tranquilli.

“Scopri prima tu”, mi dice lui. Non si fa, è contro lo regole. Ma tra amici si chiude un occhio.

“Poker di dieci”, dico sorridente e speranzoso.

Frank sorride imbarazzato, non capisco subito il perché.

“Poker anche io… di jack”, mi fa mostrando il suo mazzetto.

Rimango di sasso, mi si gela il sudore della fronte. Osservo attonito le carte, non riesco a capacitarmi. Alzo lo sguardo.

“Ma…”, balbetto.

Frank sembra leggermi nella mente.

“Avevo poker ‘servito’, in realtà”, afferma. “Mi dispiace”, aggiunge sincero.

Mi cade il mondo addosso. Nella stanza piove un silenzio di tomba, Max e Matthew si rilassano sulle sedie. Sono io lo sconfitto della partita. Sono io quello che il prossimo anno dovrà sposarsi.

“Non ci pensare”, mi fa Matthew con aria di scherno. “In fondo hai ancora un anno per trovarti una ragazza”.

“Ma vaffanculo!”


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