Lo scrittore è lacerato

Parliamo (ancora?) del libro elettronico: “Nuotare sott’acqua e trattenere il fiato” di Francis Scott Fitzgerald.

Ad un certo punto lo scrittore racconta che Hemingway aveva dei dubbi riguardo il finale di “Addio alle armi” e chiese consiglio a una mezza dozzina di persone.

Lo stesso Scott Fitzgerald rivela che il finale di “Tenera è la notte” in principio doveva essere più duro, quasi tragico. Hemingway gli consigliò qualcosa di più sfumato, lento, una specie di dissoluzione; e ne seguì il consiglio.

Tra i due scrittori ci fu sempre questa collaborazione fatta di fogli di carta che si passavano, chiedendo all’altro una consulenza, un giudizio su quanto scritto.
Liti e incomprensioni non mancarono, ma questa è un’altra storia.

Solo chi non conosce (quindi non ama), la letteratura continua a credere che lo scrittore sia un’entità che parla con le Muse, e solo con loro, mi raccomando. Che abbia già imparato tutto, e che non debba sudare, riscrivere, cancellare, conoscere il dubbio.
Sono giunto alla conclusione che si tratti di un mezzo che una gran parte degli scrittori esordienti adotta per giustificare il proprio modo di scrivere. Mediocre.

Sono coloro che di solito disprezzano scuole di scrittura, libri come “On writing” di Stephen King: perché essi sono stati baciati in fronte dagli Dei.
Affermano con orgoglio che la prima stesura della loro opera è la migliore, e che non hanno bisogno di nient’altro che un editore. Nemmeno un correttore di bozze. Non parliamo di un editor!

La realtà è diversa, e l’amicizia tra Hemingway e Scott Fitzgerald è uno degli esempi al riguardo; ma cercando con la dovuta cura se ne troverebbero altri.
Prima di iniziare a scrivere, non bisogna solo leggere (tanto), come afferma Stephen King. Ma andare a vedere il dietro le quinte del lavoro di chi scrive. Si resta di stucco scoprendo la fatica, le lacerazioni, i dubbi che attanagliano lo scrittore.