Tra le tante teorie che parlano dell’evoluzione dello scrittore, al tempo della rivoluzione digitale, manca all’appello quella che forse rende questa figura particolare. E che teoria non è, forse.
Lo scrittore è una specie di showman, o almeno un eccellente uomo di spettacolo. Eresia?
Se reprimiamo la tentazione di fuggire a gambe levate da questa teoria blasfema, e ci avviciniamo ai grandi del passato, a cosa andiamo incontro? Se ci accostiamo al sublime Charles Dickens, cosa troviamo nelle sue opere? Cosa le rendeva popolari e amatissime, allora come oggi? E cosa ha spinto critici di alto livello a rivalutare i suoi scritti, e a collocarlo accanto ad altri scrittori come Dostoevskij?
Gli elementi che incontriamo nei romanzi, sono quelli che provocano il lettore, lo entusiasmano, lo tengono legato alla sedia o divano fino alla fine del capitolo, o del libro, in certi casi. Non è detto che la storia sia di azione: però al suo interno deve esserci un insieme di ingredienti che fanno appello al cuore come all’intelligenza del lettore, senza tralasciarne la sensibilità.
Interessare, catturare il tempo, promettere una sorta di viaggio, trasportare chi legge dentro salotti, bettole o suite di albergo, è una forma di artigianato raffinata, difficile. Emozionare, indignare, suscitare il riso come la riflessione (tutte ambiti dove il buon Dickens eccelleva), sono altri tasselli fondamentali che non possono certo mancare nel “bagaglio” del bravo uomo di spettacolo. O scrittore.
E se ci opponiamo a questa idea, è per un motivo molto semplice.
Quando si parla di “uomo di spettacolo” il pensiero va a qualcosa di mediocre, adatto per le masse che vogliono qualcosa di digeribile. Si intende un “prodotto” di scarsa qualità, magari luccicante. Che viene confezionato con una certa dose di professionalità, ma questa non deve essere troppa per non spaventare il pubblico che potrebbe non comprendere. Questo non è spettacolo e nemmeno intrattenimento.
È solo allenamento alla mediocrità, in modo che le persone siano contente, e si sentano perfettamente a proprio agio dentro l’abito che altri hanno cucito, e scelto. Eppure basterebbe poco per uscirne: basterebbe volerlo. Ma sto divagando.
Accostare lo scrittore a uno showman o uomo di spettacolo che dir si voglia, per molti è, come scrivevo all’inizio del post, un affronto.
Se però togliamo da questa definizione tutto ciò che l’ha resa odiosa a tanti, cosa resta? Una noce vuota, oppure l’essenza? Io credo la seconda: l’essenza. Fatta di onestà, scrupolo nel definire i dettagli, grande rispetto per il lettore e il suo tempo.
E di ambizione perché ogni scrittore (o uomo di spettacolo?) ambisce a essere ricordato. A lasciare di sé un’opera talmente forte da travolgere ed emozionare anche i lettori del 2048.