La democrazia, il regime dell’incompetenza, che vive in una costante dialettica antimeritocratica fra potere “democratico” della massa e autoritarismo dei governanti
Se si vuole inquadrare criticamente lo stato della scuola pubblica italiana, a più di 10 anni di distanza dalle “riforme” berlingueriane, occorre far riferimento alla critica socratica e platonica della democrazia ateniese, nello specifico al Gorgia di Platone, importante dialogo di passaggio dalla fase giovanile alla fase matura del grande filosofo greco.
Premesso che i Sofisti, e Gorgia ne fu uno dei più autorevoli, furono il prodotto intellettuale e i più convinti sostenitori della democrazia periclea, il dialogo in questione è un’esaustiva critica del regime democratico e del ruolo in esso assunto dal sapere, puramente formale e retorico, dei Sofisti. La democrazia è il regime dell’incompetenza, che vive in un pericolosa dialettica antimeritocratica fra potere “democratico” della massa e autoritarismo dei governanti.
Il punto centrale dell’intera organizzazione dello Stato ateniese, per Socrate e per Platone, era il dominio della “doxa”, dell’opinione superficiale e mutevole della grande massa dei cittadini sulle complesse funzioni di governo militare e civile, che ne allontanavano di fatto il personale competente. Il potere decisionale spettava al demos riunito in assemblea e, su queste basi, le funzioni di governo venivano assegnate a chi meglio sapeva coglierne e blandirne gli umori, quasi mai in sintonia con le necessità dello Stato. Il Sofista nasce proprio da questa organizzazione democratica e da questa esigenza di cogliere le opinioni e gli umori della massa, per blandirli con discorsi ad effetto, di grande magniloquenza. Su queste basi, non esprimendo alcuna concezione propria, corrispondente ad una specifica arte o scienza, il Sofista-Retore, in pratica già diventava un politicante in grado di costruirsi una posizione di potere personale che poteva diventare, in contingenze sfavorevole, autoritaria e priva dei necessari requisiti per guidare lo Stato.
E’ il caso del Sofista-Politicante per eccellenza, preso ad esempio negativo da Socrate e Platone, per illustrare l’insieme di questa problematica: Alcibiade, uomo chiave nella guerra peloponnesiaca. Magniloquente, abile millantatore, superficiale e vanesio, portato ai vertici dello Stato ateniese a furor di popolo, pose le base per la disastrosa sconfitta di Atene contro Sparta, facendo votare all’Assemblea la disastrosa spedizione in Sicilia contro Siracusa. In compenso, a qualche anno di distanza, sempre il demos opinante e umorale, riunito in assemblea, impose la soppressione degli ammiragli vincitore alla battaglia delle Arginuse (vittoria che avrebbe potuto equilibrare le sorti della guerra), per motivi religiosi: per dare battaglia nel momento più favorevole non avrebbero officiato i necessari riti propiziatori agli Dei. I politicanti al governo, per non perdere “voti”, hanno eseguito la sentenza, distruggendo le ultime competenze militari di Atene. Si chiude il cerchio: dal potere del demos incompetente, si passa all’autoritarismo di governanti senza i necessari requisiti di conoscenza per gestire lo Stato; questa morsa fra democrazia degli incompetenti e autoritarismo dei governanti stritola chi ha veramente le competenze, i meriti, le conoscenze per assolvere ad una funzione di governo.
Questo è il quadro che presenta la scuola italiana, dopo 11 anni di autonomia, dopo 15 anni di obbligo del recupero per gli studenti insufficienti, dopo lo smantellamento completo della scuola altamente meritocratica di Giovanni Gentile; smantellamento effettuato fra il primo governo Berlusconi del 1995 (che abolì –non lo scordiamo!- gli esami di riparazione nelle superiore, istituendo i corsi di recupero obbligatori: e da quel momento, per esperienza diretta, si aprì la diga!) e i ministeri Berlinguer e De Mauro. Un regime degli incompetenti, a tutti i livelli. Una democrazia delle famiglie e degli studenti, soprattutto quelli più ignoranti e/o psicolabili, presuntuosi e/o pretenziosi, che si abbina all’autoritarismo di Presidi e collaboratori con tessera sindacale Cgil contro i docenti più preparati e rigorosi, o meglio quanto ne rimane.
Il quadro più drammatico è senza dubbio quello dei licei, almeno nella visione soggettiva di chi, come me, ha avuto la fortuna e l’onore di insegnare per non meno di 10 anni nel glorioso Liceo classico gentili ano, e poi lo ha visto fare a pezzi, anno dopo anno dai burocrati del sindacato, da ex sessantottini o settantasettini falliti, spesso per incapacità personale loro a insegnarvi con efficacia il latino, il greco, la matematica, la filosofia, ecc. Molto più comodo introdurvi strutture e metodologie pedagogiche angloamericane, che si traducono nel “sei” generalizzato, salvo poche eccezioni.
Oggi la situazione standard che si può verificare in una scuola è la seguente: dopo una serie di votazioni negative, o comunque non all’altezza delle proprie aspettative, uno studente con difficoltà di tutti i tipi, accompagnato dai famigliari, si presenta piangente dal Preside, lamentandosi di non essere compreso e rispettato dal prof. X. In altri tempi, il Preside, che non poteva e non voleva interferire nell’attività didattico educativa del docente, rimandava ad un colloquio con l’insegnante in questione, come avvenne alcune volte al sottoscritto, negli anni ‘80, nei Licei Classici di Ivrea e di Chivasso, oppure, dopo aver verificato il quadro complessivo dei voti dello studente, lo sollecitava ad un impegno più solido, se non a cambiare indirizzo di studi. Nella situazione attuale avviene esattamente l’inverso: l’insegnante viene convocato dal Preside, spesso con lettera ufficiale; gli si chiede conto del perché lo studente ha simili “lacune” e “disagi”; come minimo viene sollecitato a capirli, a fare il possibile per “recuperarli”, per non creare disagi psichici con un eccessivo carico di studio, ecc. Se poi, il Preside o la Preside, sono “tirannelli” da quattro soldi, spalleggiati dalla cellula sindacale d’Istituto, e il docente è un giovane supplente, si passa direttamente alle minacce: “se vuole continuare a insegnare qui, si adegui, in caso contrario il prossimo anno scelga un’altra scuola”.
Se è di ruolo, può anche capitare che il discorso sia ancor più intimidatorio: “io ho saputo questo di lei (da chi? Lettere anonime? Confidenze salottiere con genitori importanti? Delazioni di colleghi, applicati, bidelli con tessera sindacale CGIL, in puro stile tardo stalinista?), ho in mano gli elementi per rovinarla, se ne vada, faccia domanda di trasferimento per distretti”. Discorso che mi fu fatto, nel 2003, dall’allora Preside del Liceo Gioberti di Torino, perché non gradiva le mie resistenze gentiliani, il mio rifiuto alla collaborazione interdipartimentale. In sostanza per far funzionare il Dipartimento di Filosofia, annullandone le diversità qualitative interne, doveva farmi fuori con minacce pesanti. Mi ero appena sposato, non me la sentii di accettare la sfida con uno dei personaggi più odiati, ma anche più potenti della scuola torinese.
Con questi esempi il circolo dialettico antimeritocratico democrazia degli incompetenti autoritarismo tirannico dei governanti Presidi (oggi Dirigenti Manager) mi sembra chiaro. Si può andare ancor più nel concreto delle mie esperienze personali, per chiarire una situazione che, se non fosse tragica per intere generazioni di insegnanti e di studenti, avrebbe indubbiamente un lato comico.
Innanzitutto va detto che, come il buon giorno si vede dal mattino, questa deriva allo sfascio della meritocrazia gentiliana si vide subito, con le prime dichiarazioni di Berlinguer alla TV, nel 1996. Ricordo ancora l’orrore, il senso di angoscia e di frustrazione impotente che mi prese quando dichiarò che occorreva mettere fine alle vessazioni dei professori contro gli studenti e che il ministero stava organizzando un sito internet, per raccogliere lamentele, anche anonime, da studenti e famigli da tutta Italia. L’iniziativa credo che si commenti da sé!
A 15 anni di distanza da simili fatali eventi, rientra ormai nella normalità quanto succedeva, l’anno scorso, al mio collega di matematica prof. De G., al Liceo “D’Azeglio” di Torino, uno dei più illustri e, un tempo, seri e selettivi d’Italia. Il prof. De G. era un luminare della matematica, anziano, integerrimo docente, con non meno di 35 anni di servizio; un insegnante che, prima del ’68, avrebbe suscitato ammirazione, rispetto, anche timore a tutti, preside compreso, che non si sarebbe mai permesso di contestargli voti ed operato.
Ma oggi no! Siamo in democrazia! La sinistra radical chic ha impostato la scuola sulla partecipazione delle famiglie e sullo statuto dei diritti “delle studentesse e degli studenti” (notate la finezza femminista che viola le regole della grammatica, che vuole il maschile come plurale!)! Allora succedeva che i soliti ciucci e psicolabili, dopo i votacci giustamente assegnati dal collega, andavano a protestare dal Preside, affinché la loro ignoranza e stupidità fosse meglio valutata. Il Preside, senza un conato di vergogna, convocava l’anziano, integerrimo collega e cercava tutti i pretesti per metterlo in difficoltà. Come si permette uno che ha “scienza” comandare nella scuola dell’autonomia, dove comandano la “doxa” e la demagogia? Il peggio avvenne, nell’ilarità generale del Consiglio di Classe, cui l’episodio fu raccontato, quando al prof, De G. fu rimproverato di aver turbato una classe, riferendo che alcuni giorni prima i Deputati, all’unanimità, avevano votato l’aumento del loro stipendio.
Questo quadro istituzionale è talmente forte e avvolto nelle sue contraddizioni, da risultare del tutto impermeabile alle sollecitazioni del ministro Gelmini a reintrodurvi elementi meritocratici. Marcisce lentamente su di sé. In pratica Presidi, collaboratori scolastici, quadri sindacali costituiscono una mafia autoreferenziale, cosciente della propria forza. Sanno che nelle scuole, in regime liberale, è difficilissimo sfidarli; manipolano branchi di studenti e famiglie pecorone, con la suggestione delle parole e la concretezza del voto positivo. Si permettono di non applicare i decreti Gelmini,intesi a rimettere un po’ di ordine nel baraccone scolastico.
In base ai decreti Gelmini si dovrebbe assegnare i 5 di condotta, non ammettere all’esame di stato anche con una sola insufficienza, ecc.
Del resto le mafie scolastiche sanno benissimo di avere potenti appoggi esterni: tutti i partiti della sinistra demo radical chic, il circo mass mediatico dei vari Travaglio, Santoro, ecc., Rai tre, la Stampa, la Repubblica, il Corriere della Sera. C’è da chiedersi, come sia possibile che, nonostante questo loro potere assoluto sulla scuola pubblica e questi potenti appoggi politico-intellettualoidi-mass mediatici, non riescano mai a influenzare in modo decisivo il voto politico! E’ il loro vero cruccio dal 1994!
Volete altri esempi tratti dalla mia esperienza professionale, sulla veridicità della mia analisi? Nella mia scuola di titolarità, il Liceo D’Azeglio di Torino, sono stati decisi (da chi?) criteri di assegnazione del voto in condotta che partono direttamente dal sei, la sufficienza. Il 5, invocato dal ministero, non è previsto, o meglio della decisione sono esplicitamente espropriati i docenti dello studente indisciplinato: non è neppure il consiglio di classe a decidere nella sua collegialità, ma il consiglio d’istituto, ove spadroneggiano genitori, studenti, rappresentanti sindacali, ecc.
Durante l’esame di Stato 2009 ci sono stati 8 0 9 bocciati in tutto l’istituto; in tempi non sospetti sarebbe stata la normalità, dopo anni di 36 0 60 garantito, una nauseante tragedia greca che ha subito minacciato ricorsi, controllo dei registri personali degli insegnanti da parte dei genitori in prima persona (che cosa si diceva sul regime degli incompetenti? Neppure il preside, i genitori in persona fotocopiano e controllano la valutazione dell’insegnante! E’ sufficiente presentare una domanda in carta libera alla presidenza, che s’inchina più ossequiente di Fracchia!). Tre dei bocciati erano mie studentesse e assicurano che bocciarle è stato proprio un atto di rara giustizia: incapaci, svogliate, disattente in classe. Una di queste ha persino presentato la tesina, sbagliando nell’intestazione il nome di Massimo D’Azeglio, diventato Massimo “D’Azelio”.
Ebbene, di fronte a questa situazione in sé positiva, perché liberava la scuola dalla sua zavorra più grave e poteva figurare da monito per i futuri maturandi, la reazione del preside (divenuto in questi giorni un eroe dell’antifascismo azionista torinese, per la sua vorticosa attività antiberlusconiana fra docenti e studenti del liceo!) fu di mettere sotto accusa, con lo stile da “gentiluomo siciliano” che lo contraddistingue (urla, insulti, minacce, e quant’altro documentabile) i membri interni e l’intero corpo docenti. In Collegio Docenti, urlò che “i membri interni devono difendere le decisioni prese dal consiglio di Classe”, la qual cosa significa (e lo specificò anche in colloqui privati, cui ebbi l’occasione di assistere) che i membri interni devono sempre votare per la promozione e alzare le votazione in sede di correzione degli scritti (“cosa ci vuole per un commissario interno assegnare 2 o 3 punti in più nella correzione degli scritti, anche di fronte ad una insufficienza?).
Si potrebbe andare avanti con gli esempi, con gli aneddoti personali, ma credo siano sufficienti questi brevi riferimenti per capire come funziona oggi il liceo classico: non la scuola media, ma il liceo classico! Per avallare la tesi di partenza che ci troviamo di fronte ad un regime degli incompetenti e degli irresponsabili, che si rovescia dialetticamente in una loro dittatura asfissiante e continua sugli insegnanti, i soli che dovrebbero avere la competenza e il governo del rapporto educativo. Ma forse, dopo 10 anni di SIS, di mancanza di seri concorsi a cattedre, di dominio della demagogia pedagogica della sinistra, le più giovani generazioni di docenti non hanno neppure più le competenze disciplinari, l’autorità morale, l’indipendenza intellettuale per affrontare un compito da cui, per Giovanni Gentile, doveva discendere la realtà effettuale della soggettività umana e della comunità nazionale nella quale essa era chiamata a vivere. Fra i vecchi prevalgono, purtroppo, i berlingueriani entusiasti di questo nuovo ruolo di assistenza sociale ben remunerata. I migliori, le vere competenze, se ne sono già andate in pensione o cercano di farlo prima del previsto, con ogni mezzo. Per quale motivo bisognerebbe finanziare un baraccone marcio di questo tipo?