C’è chi in un cimitero entra per la prima volta come un turista inconsapevole, magari perché come tanti vuole vedere la tomba di Jim Morrison. Ma se poi quel qualcuno inizia a leggere, scavare, indagare, è possibile che quella curiosità iniziale si trasformi in passione…
Le mie peregrinazioni nei cimiteri monumentali hanno alla base la lettura del testo di Grazia Tomasi*, dove l’autrice invoglia a entrare all’interno di tutta un’infinita varietà di motivazioni a carattere etico, politico e religioso che costituiscono il background di quello che sarà un totale rivolgimento delle modalità di sepoltura (e quindi anche del modo di confrontarsi con l’evento della morte). Da qui la mia decisione di abbandonare la scrivania e iniziare l’esplorazione di questi luoghi.
Cimitero di San Cataldo, Modena – Le tombe dei caduti della prima guerra mondiale.
Sebbene il mio primo incontro con un cimitero monumentale sia avvenuto in modo casuale, quasi da turista distratta, a Parigi, quando come tutti mi recai a Père-Lachaise, non posso dimenticare il fascino che esercitò su di me l’organizzazione dello spazio che era destinato ai morti (che finora identificavo e riconoscevo solo nelle dimensioni del piccolo cimitero di campagna). Molto tempo è passato da quel giorno, ma la collina dove sorge il cimitero, la sua discreta e relativa lontananza dalla città e i defunti che ospita sono rimasti in un qualche angolo della mia memoria. E fu così che le impressioni del cimitero di Jim Morrison** si rispolveravano a ogni soggiorno in terra straniera (quasi che il cimitero fosse un’esclusiva di altri paesi!), dove cercavo occasioni per poter visitare lo spazio destinato ai morti.
Per me, turista ancora inconsapevole, lo spazio dei vivi e quello dei morti si erano fusi nella mia curiosità e le mie peregrinazioni andavano anche dove nessuna guida ti invogliava ad andare: nei cimiteri. Solo la lettura del testo di Michel Ragon*** mi spinse oltre e mi fece pensare al mistero e alla razionalità dello spazio dei morti. Grazie a questa lettura, mi decisi a visitare in modo più scientifico i cimiteri, partendo da quelli monumentali.
Cimitero di San Cataldo, Modena – Le arche.
La prima tappa toccò S. Cataldo a Modena, un giorno di luglio. Per Tomasi è un esempio di cimitero costruito secondo i parametri di una nuova visione della morte. Scelgo di seguire le sottolineature della Tomasi, visitando quegli spazi particolari che al tempo della costruzione avevano presentato delle problematiche strutturali, dovute alla necessità di far collimare le caratteristiche del terreno con l’esigenza di conservazione delle sepolture: le arche. Le arche sono «delle camere sepolcrali capaci di contenere centinaia di cadaveri, disposte a formare un muro cieco quadrangolare con all’interno uno spazio vuoto****». Dai grandi porticati, costruiti nella seconda metà del XIX secolo su progetto di Cesare Costa, dalle cui pareti si affacciano benevoli bassorilievi di benestanti locali e di personaggi che hanno costruito la storia della città, sono portata alle arche. Delle scale mi conducono a gelidi e labirintici sotterranei dove è inebriante il profumo dei fiori, dove vecchie sepolture di uomini e donne dal volto austero e rassicurante riescono a emergere dalla polvere di decenni, quasi a voler catturare il mio sguardo. Rimango e continuo a cercare questi sguardi fissi, mi perdo nella lettura di alcuni epitaffi, osservo l’inesorabile passare del tempo rappresentato da fiori di plastica consunti, sbiaditi, grigi… che del fiore hanno soltanto la forma.
Risalgo all’aperto, la luce del sole è intensa, l’aria pesante. Continuo la mia passeggiata in un’affascinante solitaria esplorazione e mi trovo nei campi d’inumazione: razionalmente disegnati secondo precisi criteri, sono grandi quadrati racchiusi tutt’intorno da un portico ininterrotto (la parte visibile ed esterna delle arche), quasi volesse contenere o forse anche proteggere, ciò «che veniva considerato per vari motivi “indecoroso” e pericoloso*****». Già, perché la morte non ha più il diritto di far parte della vita, deve necessariamente esserne allontanata quanto più possibile, imprescindibili motivazioni igieniche richiedono di separare i morti dai vivi.
Cimitero di San Cataldo, Modena – I grandi porticati.
Impressiona lo spazio riservato ai caduti della Prima Guerra Mondiale, ricordati da un’enorme lapide con iscrizione, fermati per sempre da una stele di marmo bianco, che li raccoglie ancora schierati come un vero esercito, quasi a voler rassicurare i vivi della loro non-nocività. Ritengo, inoltre, molto interessante confrontare le due parti che compongono il cimitero di San Cataldo: la parte monumentale e il cimitero Aldo Rossi, cioè tutta la parte nuova. Ma rimando questo a un altro intervento.
Note
*Tomasi G., Per salvare i viventi. Le origini settecentesche del cimitero extraurbano, Il Mulino, Bologna 2001.
** Il cimitero di Père-Lachaise viene anche chiamato “il cimitero di Jim Morrison” dal momento che ne ospita il corpo. Cfr. Giampaoli M., Il cimitero di Jim Morrison. Trasgressione e vita quotidiana tra le tombe ribelli del Père-Lachaise di Parigi, Stampa alternativa/ Nuovi equilibri, Viterbo 2010.
*** Ho avuto occasione di conoscere questo saggio durante le mie ricerche per la tesi di dottorato. Ragon M., Lo spazio della morte. Saggio sull’architettura funeraria, Guida, Napoli 1986.
**** Tomasi G., Per salvare i viventi, cit., p. 79.
***** Tomasi G., Per salvare i viventi, cit., p. 81.
Mi sono laureata con una tesi sulle feste popolari in Valtiberina. Ho conseguito il Dottorato di ricerca con un lavoro sul significato antropologico del ritorno dei morti che poi ho pubblicato nel libro Il ritorno dei morti, pubblicato dall’editrice Gramma nel 2006.
Da sempre appassionata al tema della morte e dei suoi significati sociali e culturali, ho recentemente approfondito il problema simbolico delle sepolture dei culti e dei cimiteri. Amante della vita, della natura, vivo ad Arezzo ma, siccome sono molto curiosa, viaggio spesso a caccia di città “dei vivi e dei morti”.