Di fronte ad uno specchio, nel mondo onirico. L'immagine è confusa, ma è come intrappolata. Mio nonno, con un cappello blu a falde larghe, guida un'automobile di lusso. Mi dice: "Se distruggi lo specchio, muori". "Come per gli spiriti?" chiedo io. Solo il silenzio osa parlare. Gli spiriti non si specchiano. Io, invece, guardo ciò che forse gli altri vedono quando puntano gli occhi su di me. E lo specchio diventa quindi un simulacro: contiene resti biologici, vivi, perfino putrescenti, ma sempre, inesorabilmente, legati a me.
"Non io, non io" urlo. Ma poi capisco. Un colpo di martello ed è fatta. Fatta per sempre. Ma chi dovrebbe spezzare quest'incantesimo? Io? Nell'atto di scagliarmi contro me stesso, vedo me stesso che si scaglia contro uno specchio. E' questo dunque un suicidio? Un omicidio? Un atto dovuto? Me lo domando. Ricerco. Penso. Mio nonno non esiste più. E' morto. Steso su una bara, imputridisce pure lui. Forse qualche osso sarà ancora al posto suo. Per il resto c'è solo la memoria. Lo specchio. Ancora intatto, che ghigna come un fauno di fronte ad una musa denudata.
Piango. Il cuscino mi ammanta come il bacio d'una sanguisuga. Sono eccitato. Provo a toccarmi, ma lo specchio vigila. Immobile. Freddo. Capace solo di copiare in bella copia, la brutta copia della mia vita. Ma quale vita? Quale brutta copia? E' ancora silenzio. Le domande si spengono. Nel dramma d'una riflessione infinita, anche la mia morte è un gioco senza vincitori. Il martello esiste milioni e milioni di volte.
Il mio gesto, solo una volta. E' mio. Unico. Infinitesimo. Frammento pulviscolare di un continuo che mai si è dispiegato. Mio nonno sorride. E guida la sua autovettura di lusso con un'enorme gru, montata sul fianco sinistro.