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Fa bene Beppe Grillo a buttare il sasso nello stagno del conformismo sportivo e olimpico. Per quanto mi riguarda non considero negativo un briciolo di patriottismo e di orgoglio nazionale anche se nasce dal tamburello o dalle freccette ma sono sempre benedetti gli stimoli alla riflessione e gli sforzi per rompere il pensiero unico informativo. Il nazionalismo è certo uno degli aspetti legati allo sport e alle Olimpiadi ma ce ne sono anche altri su cui ho provato a ragionare su questo blog. E ce n'è uno ulteriore su cui vale la pena di porre l'attenzione. In un'Italia in cui ormai parlare di iniziativa statale o pubblica è giudicato alla stregua di una bestemmia ed in cui si esalta il culto della sussidiarietà (non facciano le amministrazioni centrali pubbliche ciò che possono fare le amministrazioni locali e soprattutto direttamente cittadini ed imprese ovverosia, si potrebbe tradurre brutalmente, lo Stato non ostacoli i profitti privati fornendo servizi a basso costo), sembra che a tutti, compreso il gran sacerdote dei mercati Mario Monti, sia sfuggito il fatto che il peso economico dello sport olimpico grava in gran parte sulle spalle dell'erario.
Cosa che è in sé sensata perché dà atto dell'esistenza di interessi e valori collettivi da difendere e perseguire di cui deve farsi carico lo Stato al di là dei confini di un perimetro da contenersi, secondo le credenze liberiste, in dimensioni minime. E ciò vale, ad esempio in ambito culturale, per il teatro, il cinema d'autore, la lirica, il pluralismo dell'informazione che, in assenza di interventi e sussidi pubblici, sono destinati ad essere travolti dai meccanismi del capitalismo e dalle logiche del profitto e dell'egoismo individuale. Ma che certo non esime dal chiedersi se quella manciata di medaglie olimpiche (peraltro quasi esclusivamente da discipline agonistiche di nicchia) di cui può fregiarsi l'Italia valgano i soldi spesi per ottenerle. Il costo a carico dello Stato per lo sport è costituito dalle centinaia di migliaia di euro (circa 450 nel 2011) di contributi pubblici a favore del CONI a cui devono aggiungersi gli stipendi pagati dai vari corpi sportivi militari agli atleti di interesse olimpico (alcune migliaia?) per consentire loro di svolgere a tempo pieno la pratica sportiva, senza doversi preoccupare di lavorare, e l'onere per garantire l'ordine pubblico durante le manifestazioni di massa, particolarmente gravoso nel caso delle partite di calcio. E' sorprendente che mentre si raschia il fondo del barile del bilancio pubblico tagliando senza pietà gli stanziamenti per la sanità, la scuola, le pensioni e chiudendo enti culturali e di ricerca il ruolo del Coni, pur subendo anch'esso una riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato, resta indiscusso. A dimostrazione appunto della funzione politica, ideologica, propagandistica dello sport. Ed infatti i soldi pubblici vengono usati dal CONI e dalle Federazioni sportive non per garantire la pratica sportiva nelle scuole e nelle periferie degradate delle grandi città, anche come mezzo di inclusione sociale, ma quasi esclusivamente per la preparazione degli atleti olimpici ed il supporto e l'organizzazione delle attività agonistiche. Ma non dovrebbe essere proprio lo sport, attività accessoria e complementare per eccellenza, il campo dove gli atleti, i tecnici, i preparatori, i dirigenti potrebbero autoorganizzarsi ed autogovernarsi a proprie spese? Infine, last but not least, le accuse dell'Espresso al CONI e alle Federazioni di scarsa trasparenza nella gestione dei fondi ad essi assegnati e di rappresentare l'ennesimo carrozzone pubblico che sotto il mantello delle funzioni istituzionali da svolgere ricopre il ruolo del solito poltronificio e di benefattore degli amici degli amici. Ma per Monti e Napolitano nessun problema: “Complimenti, avanti così”.
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