Magazine Politica

Lo Stato dell'Unione: si all'intervento dello stato e alla riduzione delle spese militari

Creato il 17 febbraio 2013 da Pfg1971

Lo Stato dell'Unione: si all'intervento dello stato e alla riduzione delle spese militari

Lo Stato dell'Unione: si all'intervento dello stato e alla riduzione delle spese militari

Il 12 febbraio Barack Obama è apparso di fronte al Congresso riunito in seduta plenaria per pronunciare il suo quinto discorso sullo Stato dell’Unione.

 

La Costituzione stabilisce infatti che il presidente debba, “di tanto in tanto, informare il Parlamento dello stato in cui si trova il Paese”.

 

Eccetto George Washington e John Adams, i primi due inquilini della Casa Bianca, tutti gli altri, fino a Woodrow Wilson, si erano limitati a rispettare l’obbligo imposto dalla carta fondamentale inviando note scritte in cui illustravano al Congresso la situazione in cui versava la nazione.

 

Fu l’ex professore di Princeton, esattamente un secolo fa, nel 1913, a inaugurare la prassi del discorso di fronte al Parlamento, riunito in seduta comune.

 

Da allora, tutti i presidenti hanno seguito le sue orme.

 

Quest’anno, per Obama, l’occasione per rinnovare una tradizione ormai centenaria ha un sapore particolare: il discorso è il primo del suo secondo mandato, una possibilità che solo altri 15 presidenti, oltre a lui, hanno potuto sperimentare.

 

Nemmeno un mese fa, Obama è salito sui gradini del Campidoglio per tenere il suo secondo discorso inaugurale e, a giudizio di molti, le sue parole sono apparse come un vero e proprio manifesto di concretezza e progresso.

 

Lasciati da parte i tentativi di instaurare un clima di collaborazione politica bipartisan, sempre frustrati da un partito repubblicano che voleva, nelle parole del capogruppo di minoranza al Senato, Mitch McConnell, fare di Obama un presidente da un solo mandato, Barack ha voluto seguire la sua vera indole e ispirazione politica: ergersi a difensore degli interessi della classe media e, dopo un decennio di guerre all’estero, destinare più risorse alla  ricostruzione del tessuto sociale ed economico americano piuttosto che quello di nazioni lontane come Iraq o Afghanistan.

 

Non sono state da meno le proposte presentate da Obama nel suo discorso di qualche giorno fa.

 

Il presidente ha infatti chiesto al Congresso un incremento del salario minimo fino a 9 dollari l’ora (dagli attuali 7,5), l’estensione a tutte le famiglie americane dell’accesso dei più piccoli agli asili nido, ha proposto un piano di infrastrutture e opere pubbliche in grado di creare occupazione e reddito per i meno abbienti e ha ribadito la necessità di dare nuovo spazio alla produzione di energie da fonti rinnovabili.

 

Lo ha fatto con una forza e convinzione nei propri mezzi inusitata, fino a sostenere che se il Parlamento non avesse ascoltato le sue proposte, avrebbe agito, nei limiti dei suoi poteri, tramite executive orders, decreti esecutivi.

 

In un momento in cui l’apprezzamento degli americani verso il Congresso non supera il 18%, anche un presidente legalitario come Obama, ex professore di diritto costituzionale, può permettersi di usare parole del genere senza essere tacciato di tendenze autoritarie.

 

In politica estera ha annunciato l’intenzione di ridurre ancora le truppe americani di stanza in Afghanistan, dimezzandole, per avvicinarsi al traguardo dell’uscita definitiva degli Usa dall’ex paese dei talebani.

 

Lo scopo di Obama è evidente: tagliare le elefantiache spese militari, dovute a una eccessiva sovraesposizione americana in vari teatri di guerra mondiali, usando i risparmi ottenuti per avviare una strategia economica fondata su infrastrutture, ponti, strade e sostegni ai meno abbienti, dal sapore tipicamente keynesiano e anticiclico.

 

Perché, come aveva detto già l’anno scorso, nella stessa occasione ufficiale, lo Stato dell’Unione 2012, gli Stati Uniti non possono più permettersi di sprecare soldi e debito pubblico americano per portare avanti dispendiosi piani di ricostruzione e pacificazione in remote zone del mondo.

 

Soprattutto ora che, a seguito dell’infinita crisi economica, iniziata nel 2008, è necessario agire per impostare una azione di nation building domestica, una ricostruzione dalle radici di una società statunitense indebolita e sempre più ingiusta per chi ha meno degli altri.

 

La sfida lanciata da Obama con il discorso di martedì è quindi molto importante.

 

Egli vorrebbe ribaltare la celebre frase pronunciata da Ronald Reagan nel 1981 quando diceva che il governo e l’intervento pubblico non era la soluzione di tutti i mali, ma era esso stesso il problema.

 

Per Obama, se ben indirizzati e non sperperati in mille rivoli, dalle spese militari, alle riduzioni fiscali per i ricchi, i fondi statali e l’intervento del governo possono permettere alla classe media di riprendersi facendo così ripartire la nazione e la prosperità degli Stati Uniti.

Un paese che è consapevole di non avere più i mezzi per esercitare una egemonia simile a quella sperimentata dopo la vittoria nella Guerra Fredda, ma che è ancora oggi uno stato indispensabile alla crescita e alla stabilità economica e politica mondiale.

Add a comment


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :