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Lo stile nella scrittura

Da Marcofre

Non è interessante parlare di stile? Del proprio stile di scrittura intendo. Certo, qualcuno potrebbe sbuffare e dire: “Quante chiacchiere! Scrivi e basta!”
D’accordo: allora parliamo dello stile nella lettura. Tutti parlano di quello relativo alla scrittura, ma ogni tanto sarebbe bene fermarsi a pensare a quello che è necessario per leggere.

Alcuni penseranno che non c’è alcuno stile: apri il libro, o il reader, e via. Spesso la lettura avviene a casa, ma anche in piedi mentre si è in fila alla Motorizzazione Civile. O seduti nella sala di attesa di una stazione ferroviaria.

Invece c’è eccome. Però è una faccenda che gli altri non vedono perché quando si legge, si apre un silenzioso scontro tra noi, e l’autore.
Siccome la lettura è un’abitudine, va coltivata, e il tempo la migliora. Rispetto a 15 anni fa sono un lettore ben diverso e spero persino migliore. Non solo perché leggo molto e ho letto tanto. Non è la quantità che rende lettori sopraffini. È il come.

Lo stile appunto, che dopo essersi formato, inizia a far valere la sua presenza.

L’occhio, ma dovrei scrivere la testa, i sensi tutti, cominciano a lavorare in maniera differente. Non si tratta solo di leggere più velocemente, anzi; ma con un’attenzione particolare. Si notano passaggi, sfumature. Quando per esempio un personaggio arriva in un nuovo ambiente (una casa; oppure una città), si drizzano le antenne per comprendere come l’autore ha affrontato la faccenda. A volte per imparare perché si ha il desiderio di scrivere.

A volte per il puro piacere di misurare quanto talento c’è in chi scrive.

Un esempio: come molti sapranno, mi piace lo scrittore islandese Thor Vilhjialmsson. In Italia saremo 986, esclusi però traduttrice, e personale della casa editrice Iperborea che ne cura la pubblicazione. Le sue descrizioni della natura di quell’isola sono solenni, ricche e dettagliate. Pochi le apprezzano, e perciò pochi lo leggono, e chi si è accostato, è scappato a gambe levate.
Però la lettura dei suoi romanzi per prima cosa mi sfida.

Non credo affatto che sia masochismo, ma la volontà di affrontare qualcosa di difficile. Il suo modo di scrivere è lontano mille miglia da quello di Carver, per esempio.

Però mi impongo di provarci. Cerco di non limitarmi ai soliti scrittori, a uno stile preciso, ma mi avventuro in altri mondi. Questo modifica il mio stile di lettura.

Innanzitutto, occorre maggiore concentrazione e impegno con Vilhjialmsson, e questo mi permetterà poi di affrontare la lettura di romanzi o racconti di altri autori, con un’esperienza di lettura alle spalle differente. Avrò acquisito uno sguardo capace forse di cogliere sfumature e dettagli che in precedenza non avrei colto. Non si tratta solo di notare certe cose; bensì di apprezzare il loro inserimento in quella delicata struttura che è la storia. Per esempio: una bambina che alza il piede e si gratta la puntura di una zanzara sull’altra gamba (in Revolutionary Road).

Non è solo quello.

Non si tratta di un gesto. È la vita di un personaggio che ci parla, comunica con noi, stabilisce una relazione col lettore.

Ma questo riuscirò forse a coglierlo solo se avrò smesso di “leggere”, per imparare a leggere. Se mi sarò dotato quindi di uno stile che non si accontenta di far scorrere gli occhi sulle pagine. Probabilmente c’è stile quando si coglie.

Una faccenda complicata da realizzare però. Cos’è che all’improvviso induce a fare attenzione? Perché facciamo il salto di qualità? Il caso, oppure è un amore genuino per la parola? Si passa cioè dall’innamoramento, alla passione che brucia?


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