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Lo storico Barzun e il successo popolare del darwinismo

Creato il 11 novembre 2012 da Uccronline

Lo storico Barzun e il successo popolare del darwinismoNel febbraio scorso il prof. Enzo Pennetta ha scovato degli imprudenti legami tra Telmo Pievani, l’iper-neodarwinista mediatico e l’UAAR, l’associazione italiana di atei fondamentalisti. Il filosofo laicista, vistosi scoperto, ha subito cercato di cancellare ogni traccia imbarazzante per la sua già precaria attendibilità.

Ma questi legami sono casuali? Evidentemente no, tutti hanno chiaro quanta strumentalizzazione ideologica della teoria di Darwin vi sia stata negli ultimi due secoli, con il chiaro scopo di una propaganda anti-teista. Non è un caso che l’ateissimo dittatore Stalin imponesse in università lezioni di darwinismo (ovviamente concentrandosi solo su speculazioni filosofiche, come fa oggi Pievani) durante le ore obbligatorie di “ateismo scientifico”, nemmeno si tratta di coincidenza il fatto che Alfred Wallace, co-scopritore della selezione naturale assieme a Darwin, sia stato letteralmente e volutamente dimenticato a causa della sua posizione esplicitamente “finalista”, come non è casualità che oggi non siano promossi a livello popolare degli “Einstein day” per celebrare la relatività o dei “Lemaître day” per ricordare la scoperta della teoria del Big Bang, ma soltanto dei Darwin day” (organizzati appunto dalle associazioni di atei fondamentalisti).

Tutto questo è noto anche grazie al lavoro di diversi storici e intellettuali, che hanno contribuito a evidenziare questi indebiti tentativi. Si tratta, ad esempio, di Jacques Barzun, morto pochi giorni fa all’età di 105 anni. Barzun è stato uno degli storici più autorevoli del ventesimo secolo, vincitore nel 2011 della National Humanities Medal e onorato della creazione del Jacques Barzun Prize in Cultural History da parte della American Philosophical Society. E’ nato nel 1907 e ha potuto assistere all’esplosione in occidente del darwinismo come spiegazione di tutto l’agire umano, quando ancora erano in vita i collaboratori di Darwin e il co-scopritore della selezione naturale, Alfred Russel Wallace.

Scrivendo “Darwin - Marx - Wagner - Critique Of A Heritage” (Barzun press) ha voluto studiare «la combinazione di tre influssi nell’origine delle nostre superstizioni».  Lo storico ha scritto: «sostituendo la selezione naturale per la Provvidenza, la nuova scienza avrebbe potuto risolvere una serie di enigmi che derivano nella vita pratica, anche se per a causa di questo stesso scambio, la nuova scienza ha dovuto diventare una religioneQuesta necessità è ciò che ha reso l’evento darwiniano di tale importanza duratura nella storia culturale». (p. 64). Si è quindi soffermato su Thomas Huxley, il cosiddetto “mastino di Darwin”, sottolineando quanto fu profondamente turbato dal fatto che in nessun punto della storia si è mai verificata per selezione naturale la creazione di una nuova specie: «Dobbiamo concludere che una solida base scientifica può essere insicura nella sua base logica? Per gli scettici, Huxley ha affermato che l’evoluzione “non è una speculazione, ma una generalizzazione di alcuni fatti che possono essere osservati da chiunque si prenda il disturbo necessario”. Eppure era proprio questa osservazione che lo stesso Huxley stava cercando e aspettando. Fino a quando non si verificherà, l’evoluzione avrebbe dovuto restare, almeno per coloro che amano le sottili distinzioni, una speculazione e non una teoria» (p. 64). Ovviamente ci si riferisce all’osservazione in atto della macroevoluzione e non della microevoluzione, la quale essendo tranquillamente osservabile non può essere minimamente messa in dubbio (grave errore commesso dai creazionisti).

Ma che cosa ha reso il darwinismo tanto famoso e citato, diventato sinonimo perfino di “evoluzione”? Non certo la capacità di spiegare in modo adeguato gli avvenimenti biologici -esistono ancora enormi lacune, infatti-, il motivo è che «Darwin ha formulato una teoria che spiega l’evoluzione per selezione naturale attraverso variazioni accidentali. La negazione dello scopo nell’universo viene effettuata nella seconda metà della frase, “variazione accidentale”. Questa negazione di scopo è il tratto distintivo di Darwin» (2a ed., Pp 10-11). In questo modo, ha proseguito Barzus, «i militanti che hanno rivendicato per sé la libertà di ateismo o di agnosticismo erano in realtà altrettanto profondamente impegnati a diffondere il dogma – l’infallibilità della nuova chiesa darwinista – come ogni vincitore sul vecchio» (p. 66). Per questo motivo il celebre storico ha criticato fortemente tale strumentalizzazione, ritenendola fortemente fomentatrice del “materialismo meccanico.” Allineandosi a parecchi altri storici -per la disperazione di Pievani- ha anche insistito sul fatto che il darwinismo ha prodotto alcuni figli piuttosto sgradevoli, come il razzismo e l’anti-egualitarismo: «Dopo esserci sbarazzati del Design, con Huxley e altri abbiamo negato il principio di uguaglianza umana, affermando la supremazia innata di certe razze» (p. 360).

Ma è giustificata la pretesa neodarwinista di negare il finalismo in natura? Assolutamente no, come dimostrato tanti celebri evoluzionisti (e anche neodarwinisti) credenti, cristiani e cattolici. Evandro Agazzi, prestigioso filosofo della scienza italiano, ha infatti spiegato che «nel caso dell’evoluzionismo non ci fu mai una contrapposizione intrinseca con la religione, poiché sin dagli inizi ci furono fautori e oppositori delle teorie dell’evoluzione tanto religiosi quanto atei. Invece parecchi intellettuali antireligiosi, diedero un’interpretazione in senso ateomaterialista che pretesero di far passare per una conseguenza logica delle conoscenze scientifiche, anche se in realtà non lo è». Molti dei primi fautori del darwinismo, pensiamo a Lyell, Herschel, Henslow, Mivart, De Filippi, Chambers, Rosa, De Nouy, Sinnott, Marcozzi…, erano tutti credenti. Addirittura secondo Richard Dawkins fu un sacerdote anglicano «il più grande darwinista mai esistito».

Si può essere evoluzionisti casualisti o evoluzionisti finalisti, assieme tra questi ultimi a prestigiosi biologi, paleontologi e premi Nobel (come Alfred Kastler, Manfred Eigen, O. H. Schindewolf, Karl von Frisch, G. Colosi, E. Guyénot, P. P. Grasse, J. Piveteau, P. Leonardi, J. Hurzeler, Zoller, A. Remane ecc.), ovvero non aderire ad un piano predefinito in vista di un finale già scritto, ma ad un disegno che si realizza strada facendo. Perché, come ha scritto il premio Nobel Christian De Duve, «il caso non esclude l’inevitabilità. Tutto dipende dai vincoli entro i quali opera il caso [...]. L’emergere di esseri umani, o perlomeno di esseri senzienti e pensanti, è un esito obbligato di questo percorso inarrestabile e non un “incidente cosmico”» (C. de Duve, Alle origini della vita, Longanesi 2008).

Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, sono naturalismo e neo‑darwinismo ad essere in conflitto tra loro, poiché -come abbiamo già visto- non è ragionevolmente possibile accettare entrambi.


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