Già il fatto che loro si chiamino CocoRosie sembra proiettare in una dimensione da orrore urbano del lavoro giovanile italiano (co.co.co e simili) . In realtà siamo in una dimensione onirica fra Bjork e i primi film di Pupi Avati (vi ricordate La casa dalle finestre che ridono?).Insomma, se non proprio in un regno di disagio mentale conclamato in un’area grigia come gli oceani richiamati nel titolo di quest’album, di bizzarria estrema con qualche intorcinamento sessuale: le due sorelle che compongono il gruppo, Sierra (Coco) & Bianca (Rosie) Casady, trentenni americane dalle origini piuttosto complesse (irlandesi/nativo americane/svedesi/russe/hawaiane) infatti compaiono spesso e volentieri con baffi finti e vestite da uomo (vedi foto).
L’immagine è comunque di quelle che si notano: strampalata ma ben azzeccata. Perché si dichiarano folk? E cosa mai è il folk? Nel loro caso il ricorso ossessivo a ritornelli e vocette più o meno infantili, miagolii conditi con elettronica, passaggi armonici al piano o al synth, percussioni, harmonium, qualsiasi cosa abbia tasti da pestare, qua e là accenni di fiati o di archi, qua e là reminiscenze di canti non armonici della tradizione nativa americana, testi quasi recitati.
Un pastiche arcano, con voglia di fantasy (le maghe merline della copertina dell’album). Difficile che scalino le classifiche, non sgradevoli da ascoltare, estremamente innecessarie e accattivanti appena quel tanto che basta. Basta a trionfare nei festival alternative sulle due sponde dell’Oceano e a finire prima o poi come colonna sonora di qualche spot pubblicitario…