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Lo studio di un personaggio

Da Marcofre

Il problema non è tanto se una cosa è positiva o negativa, quanto se è credibile.

 

Eccolo qui. Alla fine, tutte le discussioni su cosa una storia debba essere, cosa deve raccontare e come, vengono risolte (forse) con una frase di Flannery O’Connor.
Come appare ovvio alla prima occhiata, un’affermazione di tale genere se da una parte coglie l’obiettivo, apre almeno un altro problema.
Come diavolo faccio a capire se quanto scrivo è credibile?

Sappiamo tutti che le nostre letture sono fasulle. False. Anna Karenina è vissuta davvero? Raskolnikov? E la balena bianca cacciata da Achab, ha solcato gli oceani?
Domande del tutto superflue. Quando si apre un libro, se l’autore ha fatto un buon lavoro, ci si cade dentro con tutte le scarpe. Non ci interessa sapere niente di più della storia, tranne che vedere come andrà a finire. E spesso sappiamo che finirà male o molto male.

Si apre “Anna Karenina” e ci accoglie: “A me la spada, Io farò giustizia”. È Dio in persona che parla, ed è evidente che l’epilogo sarà di un certo tipo. Non ci sarà un lieto fine: però leggiamo quel romanzo.
E “Delitto e Castigo”? Un paio di ammazzamenti, con l’assassino che non si maschera né si nasconde: è il protagonista. Eppure proseguiamo.

Perché sono storie credibili. La storia o il personaggio, soprattutto in un romanzo, non possono essere frutto di un semplice innamoramento da parte dell’autore. L’errore nasce perché noi leggiamo il prodotto finito e non sappiamo che prima ci sono state settimane, o anni di studio.
Lo studio non è solo per rendere convincente l’ambiente, verificare date o che il sorgere del sole nel mese di aprile avvenga a una certa ora, e non dopo (pena la mancanza di veridicità).

Anche questi sono dettagli che devono essere affrontati e risolti, si capisce.
La credibilità di un personaggio è un insieme di azioni e parole capaci di intavolare una conversazione con chi legge. Vuol dire passare dalla carta alla carne. Perché egli o ella che dir si voglia, non è più solo un essere di inchiostro, bensì vive.

Quanto sia utile la lettura mi sembra evidente. Accanto, deve esserci il talento, o meglio: il talento viene prima di ogni cosa. Però ancora una volta è necessario riflettere sul valore dello studio di un personaggio. Uomo o donna che sia, oppure bambino, spesso si presenta come un’immagine. Se resta tale, è un guaio. Buona parte dei personaggi che si trovano nelle opere di molti esordienti, messe online con troppa disinvoltura, sono immagini. Mancano di quello spessore che li rende interessanti.

Molti si dedicano al racconto perché sono certi che sia facile, e che il personaggio sarà credibile per via della sottrazione. Immaginano cioè che l’uso di poche parole, che si condensa in una manciata di pagine, agirà nel modo giusto. Purtroppo, scambiano la povertà (linguistica), per sobrietà. Il risultato di solito è uno scheletro e tranne che in pochi film dell’orrore, è difficile che uno scheletro cammini e sia credibile.

Altri si dedicano al romanzo perché: “Se ci metto un mucchio di parole, è impossibile non essere credibile e convincente”.
Costoro agiscono per moltiplicazione. Alla fine consegnano un congegno talmente goffo che se per caso si muove (per caso), farà un passo solamente, per poi schiantarsi a terra.

Prima ho accostato alla credibilità la conversazione. Non per sminuire la narrativa, ma per darle la giusta profondità. La conversazione impone che abbia qualcosa da dire, e che sia interessante. Che sia portata avanti con i giusti mezzi espressivi. Che alla fine, riesca a svelare qualcosa sul mistero della vita, oppure che dica che al di là delle chiacchiere, c’è un mistero e questo è appunto l’essere umano.


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