avete presente quelle meravigliose storie dei paperi nelle quali per viaggiare gratis paparone imbarca tutti su un cargo qualsiasi (spesso recante pecore e mufloni) e paperino finisce sempre nella stiva a pelar patate?
stamani il mammuth doveva “mettere le patate”.
per chi non avesse mai visto un campo in vita sua, le patate non si seminano, si tagliano a pezzi quelle dell’anno prima e si mettono nel solco, preparato con stallatico e cenere per dar loro il benvenuto.
è divertente, è come seppellire un tesoro, anche se decisamente faticoso.
“quando ero più giovane la terra era più bassa!” ha commentato lo stremato HDC, che sarà perchè è geologo ma quando si tratta di terra pensa sempre a quella coi poli invece che a quella con le zolle e le erbacce.
e così, mentre “gli uomini” mettevano le patate, io e il mammuth ci siamo messe a fare “lavori da donna”.
quali?
ma quelli di pelare le patate rimaste per metterle in congelatore, pronte all’uso nell’attesa che quelle seminate ci forniscano di patate novelle, da mangiare coi pisellini freschi e le cipolle “innocentine” come le chiamava la mi’nonna.
in fondo alla vigna, sedute su due cassette di plastica, un coltello per uno in mano, chiacchiera e pela, chiacchiera e pela.
e poi sono rimasta sola, a finire il lavoro, col mammuth che si è dedicato a cuocere gli ultimi erbi del campo prima della spietata fresatura.
non si sentiva nulla intorno, solo il tepore del sole, il girellare del canegiallo, qualche macchina lontana.
con le mani che automaticamente sceglievano, pelavano, buttavano, il cervello mi si è finalmente riposato.
è scivolato via berlino, il grancapo e il suo stress, firenze e l’autobus, le corse di tutti i giorni, le cose da fare, quelle da dire e quelle da non dire.
mi sono riposata, su una cassetta di plastica in fondo alla vigna pelando patate.