La decisione di cancellare altre due settimane di regular season presa dalla NBA venerdì scorso, per quanto ad alcuni possa essere sembrata un fulmine a ciel sereno, soprattutto dopo le speranze alimentate dalle recenti dichiarazioni dello stesso commissioner David Stern sulla necessità di assestare un colpo decisivo alla trattativa (“an heck of a shot”), è stata invece la naturale conseguenza delle esigenze di calendario e ha sostazialmente rimandato di almeno altri 60 giorni l’eventuale inizio della stagione. L’altalena di buone e cattive notizie, che a noi arrivano sempre ampiamente filtrate, continuerà dunque ancora per qualche tempo, poiché, si sa, la guerra di posizione si combatte anche sul campo della comunicazione. Il momento di stallo nella trattativa ci offre così la possibilità di entrare nello specifico delle principali tematiche da risolvere prima della firma del nuovo contratto collettivo. Eccole, in estrema sintesi.
Ripartizione dei ricavi
I proprietari chiedono ai giocatori di scendere fino al 50% del totale dei ricavi, mentre i giocatori restano fermi al 52,5%. In soldoni, i giocatori rinuncerebbero a circa 180 milioni di dollari, ma le perdite delle franchigie ammontano a circa 300 milioni (22 su 30 hanno fatto registrare perdite nella scorsa stagione) e dunque, se assumiamo che ogni punto percentuale corrisponda a circa 40 milioni, nemmeno la spartizione 50-50 sarebbe sufficiente a coprire il disavanzo. I proprietari stanno inoltre discutendo per provare a definire un sistema di ripartizione dei ricavi tra le franchigie che non penalizzi i mercati meno competitivi, anche attraverso la modifica del sistema di pagamento della luxury tax.
Luxury Tax
Dal 1999 lo sfondamento del tetto salariale comporta il pagamento di una penale alla lega, sottoforma di “tassa di lusso”. Per ogni dollaro speso oltre oltre la soglia stabilita dal cap, viene versato alla lega un dollaro che viene poi distribuito alle squadre più virtuose, quelle, per intenderci che hanno rispettato il tetto. Ma la proporzione di 1 a 1 resta comunque penalizzante per i piccoli mercati. Quindi, al fine di rendere il sistema più competitivo, i proprietari hanno proposto l’introduzione di diversi livelli di tassazione, con un aumento progressivo fino alla proporzione di 4 dollari a 1. In altre parole, e con largo margine di approssimazione, chi sfora di 15 milioni dovrebbe pagare 4 volte la somma che paga chi sfora di 1.
Salary cap
I giocatori temono che l’attuale sistema possa minacciare la libertà di movimento dei free agent e chiedono di tornare al vecchio sistema: tetto salariale flessibile con possibilità di avvalersi delle cosiddette “exceptions”, specifiche circostanze per le quali il tetto può essere “sfondato”. Una delle più citate in questi mesi è nota come “Larry Bird exception” e consente alla franchigia di rifirmare giocatori con contratti scaduti durante la stagione in corso: i relativi aumenti contrattuali necessiterebbero, secondo i proprietari, di una revisione al ribasso.
Dopo quasi novanta ore di trattativa e oltre 120 giorni di serrata, non è ancora stato raggiunto un accordo su nessuno di questi nodi, ma la sensazione è che, arrivati a questo punto, i giocatori non possano che scegliere tra due alternative: una cattiva, cioè fare un ulteriore passo indietro accettando il 50-50, e l’altra, se vogliamo anche peggiore, che consisterebbe nella resistenza ad oltranza sulle loro posizioni con conseguente rinuncia agli introiti di un’intero anno (i giocatori perderanno il primo assegno intorno al 16 novembre e la cancellazione del primo mese di regular season comporterebbe un mancato introito di circa 400 milioni). I bene informati sembrano caldeggiare la prima ipotesi, e cioè, altri due mesi di trattative e, come accade nel ’98, soluzione del lockout entro fine dicembre. Ma il fronte dei giocatori, sempre compatto nelle sedi ufficiali, pare molto meno omogeneo in quelle non-ufficiali: qualcuno ha fatto presente che, se si potesse fare oggi un sondaggio tra i giocatori, la percentuale di coloro che sarebbero disposti ad ulteriori rinunce pur di iniziare finalmente a giocare, sarebbe sicuramente superiore a quella degli “oltranzisti”. Con buona pace di chi, peraltro a ragion veduta, fa notare che il destino economico delle franchige, e a volte di intere comunità ( si veda il caso LeBron James – Cleveland) , è strettamente legato a quello delle superstars che vi giocano, vivono, prosperano. Ma questa è decisamente un’altra storia.
(fonte: Basket Live)