Magazine Cinema
Regia: Stanley Kubrick
Origine: USA
Anno: 1962
Durata: 152'
La trama (con parole mie): il professor Humbert Humbert, distinto insegnante e scrittore europeo, si trasferisce negli States per una serie di conferenze trovando alloggio presso la signora Haze, una vedova ancora giovane sin dal primo momento invaghita di lui.
L'uomo, inizialmente riluttante a trasferirsi in casa della donna, decide di rimanere spinto dall'attrazione che nutre per la figlia di lei, Lolita, appena quattordicenne.
I mesi trascorrono, ed il professore, pur di rimanere accanto alla ragazzina, è disposto perfino a sposarne la madre fingendosi un marito amorevole e devoto: quando la signora Haze scopre l'inganno, però, il Destino pare graziare Humbert, rendendolo vedovo grazie ad un incidente.
L'uomo, rimasto solo con Lolita, approfitta della situazione pensando di aver raggiunto il successo ed i suoi scopi, ma scoprirà di non avere fatto i conti con un avversario dal fascino distorto e magnetico: il commediografo Clare Quilty.
Il buon, vecchio Stanley riesce sempre a stupirmi, su questo non c'è dubbio alcuno.
Facile, direte voi. In fondo stiamo parlando di uno dei dieci più grandi registi della Storia del Cinema, nonchè punto di riferimento di chiunque ami - o dica di amare - la settima arte.
Eppure riuscire a rinnovare la meraviglia visione dopo visione non è certo affare da dare per scontato, grandi autori oppure no.
Vidi Lolita per l'ultima volta quasi una decina d'anni fa, e nonostante l'ennesima conferma del talento del cineasta newyorkese non riuscii a coglierne la grandezza come fu per altri titoli firmati da quello che è indiscutibilmente uno dei miei beniamini assoluti: l'idea che mi ero fatto era quella di un film elegante e sontuoso, ma forse troppo freddo e calcolato per essere considerato a tutti gli effetti uno dei Capolavori del Maestro.
Senza dubbio la trasposizione del romanzo di Vladimir Nabokov - che per l'occasione adattò il suo stesso lavoro firmando la sceneggiatura della pellicola - non raggiunge le vette dei titoli più noti firmati Kubrick, eppure - sarà anche il tempo che passa - questa nuova visione è riuscita ad aprire orizzonti inaspettati nel sottoscritto rispetto all'approccio ad un'opera giocata principalmente sulla sottrazione, sull'attesa ed il non detto, che parte fortissimo - con una sequenza, quella nella casa di Quilty che poi fungerà da epilogo, in bilico tra l'omaggio al meraviglioso Quarto potere ed il metacinema, con il commediografo ubriaco che risponde a Humbert dicendo di essere Spartacus, chiaro riferimento al precedente lavoro del Nostro -, incede con uno stile impeccabile ed un ritmo che pare quello di un serratissimo thriller - il menage a trois o presunto tale tra le mura di casa Haze - si evolve in un dramma che mescola torbido e disagio ed esplode in un noir che passa dalla nuova vita della cresciuta Lolita al raccordo che, per l'appunto, torna al folgorante incipit.
E se il buon Stanley rimane dietro le quinte rispetto a quello che è il suo solito, e misura l'ego ed i movimenti di macchina con uno stile impeccabile ed insolitamente "sottovoce", il cast esplode in una serie di interpretazioni memorabili, dalla sconsolata Shelley Winters - che come per il Capolavoro La morte corre sul fiume finisce per essere la vittima sacrificale del "mostro" - al misuratissimo - e clamorosamente bravo - James Mason, perfetto nel ruolo dell'anziano professore catturato dalla tela della giovanissima Lolita, interpretata da Sue Lyon, che finì per essere intrappolata nel personaggio e bruciarsi completamente la carriera.
Poi, ciliegina sulla torta, Peter Sellers.
Camaleontico, istrionico, inquietante, buffone, a tratti magnetico e a tratti profondamente irritante: tolto il doppiaggio assolutamente inadatto - e figlio degli anni sessanta -, il personaggio di Quilty assume fin dalle prime battute il ruolo di mattatore della pellicola, eminenza grigia della decadenza borghese della quale il professor Humbert è perfetto simbolo e Lolita vittima e carnefice ideale.
In questo senso il lavoro di Kubrick è esemplare per compattezza e classe, capacità di portare a compimento una critica feroce senza mai dover alzare i toni o cercare inutili sensazionalismi: il suo Humbert pare un pesce fuor d'acqua pronto a dibattersi per tornare tra le onde confortanti dell'oceano, spiaggiato dalla rete di Quilty dopo aver abboccato all'esca della giovane figlia della sua sfortunata consorte "a tempo".
Si potrebbe addirittura pensare che, più di ogni altro film di questa prima parte della sua carriera, Lolita rappresenti l'inizio della ricerca che raggiungerà il suo compimento con la maturità di lavori come Arancia meccanica, Full metal jacket o Eyes wide shut, l'analisi impietosa dei mali di una società che si maschera troppo spesso e troppo facilmente dietro le sue convenzioni.
Quilty, arrogante e fastidioso, in una certa misura rappresenta proprio la bomba lanciata da Kubrick contro le fondamenta di un mondo di maschere e finzioni - e di nuovo si torna alla sua ultima, magica opera - che continuerà ad attaccare indefessamente nel corso di tutta la sua carriera: forse è proprio per questo lavorare con lui doveva essere così difficile, per gli attori.
Forse è proprio per questo che un personaggio come Quilty appare ostico, negativo, oscuro, quasi ci portasse a compatire Humbert.
Il fatto è che Humbert è la nostra società. Siamo noi.
E questo Kubrick lo sapeva bene.
MrFord
"C'est pas ma faute
et quand je donne ma langue aux chats
je vois les autres
tout prêts à se jeter sur moi
c'est pas ma faute à moi
si j'entends tout autour de moi
L-O-L-I-T-A."
Alizee - "Moi Lolita" -
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