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Lorenzo Viani, Viareggio-Villa Borbone : “I padroni vanno in Terra Santa”

Da Paolorossi

Un giorno nel "Palazzo" si sparse la notizia che i padroni partivano per la Terra Santa. I sovrani, il principe e le principesse andavano pellegrini sulle vette del Carmelo.
La "Canaglia" e il contadiname stupirono. Per quei sempliciotti la Terra Santa esisteva soltanto nelle immaginette che i francescani distribuivano dopo le funzioni: un palmizio ingentilito, l'asinello, il bue, il bambino Gesù, Giuseppe e Maria.

La sera nel canto del fuoco mia madre cantava:

- Ave Maria! Du' vai, du' vai?
- A-ccercare il mi' figliolo.
Che è tre-g-giorni ch'un lo trovo.
( Lorenzo Viani, tratto da "Il figlio del pastore", 1929 ) Ni rispose Madalena:
- Ave Maria gratia piena!
L'ho veduto su per li monti
Con le man legate ai giunchi:
Una croce a spalla avea,
La portava e 'un la potea:
Sangue rosso lui versava
Il suo manto l'asciugava.

- I padroni vanno in Terra Santa! Mi sento accapponire la pelle: guardate!
E mia madre, alzandosi il casacchino, ci mostrava le braccia granite e gialle.

In quei giorni non si parlò altro che della Passione di Cristo e della Vergin Maria che va in cerca di Suo Figlio. Mia madre conosceva confusamente tutta la Passione del nostro Signore. Anche certi paesi dai nomi sonori ritornavano nei suoi discorsi.
Ricordo che nella disperazione urlava:
- Mi par d'essere nella valle di Giosafat!
O altrimenti, raccontando di una donna che era stata flagellata dal marito diceva:
- L'ha ridotta un Ecce Homo!
E se l'amarezza l'assaliva alla Pieve, usciva negli oliveti gridando:
- Mi par d'essere nell'Orto degli Ulivi!
Se poi la sua disperazione era all'eccesso allora urlava:
- Gerusalemme! Gerusalemme! Gerusalemme!
[...]

Un nome che poi me lo son sentito rifischiare da lei tante volte la colpì in modo straordinario:
Erode Tetrarca.
Di Erode ella sapeva le nefandezze ma non sapeva capacitarsi del Tetrarca; onde nella furia mi urlava:
- O Tetrarca! O Tetrarca! O Tetrarca!
A quel nome pronunziato tre volte con voce sonante, mi pareva che tre arcate di pietra si frantumassero sul mio capo.
[...]

Quando i padroni fecero ritorno dalla Terra Santa, fu impartita la Cresima ai figli dei servi le bimbe tutte vestite di bianco, i ragazzi tutti vestiti di una stoffa color del tiglio secco. Due file di panconi color ombra lineavano il tempio; al lato destro erano sedute le bimbe, al lato sinistro i fanciulli.
Molti piangevano. Il vescovo mitrato lesse su un grande tomo di carta pecora poggiato sull'altar maggiore e poi, seguito da uno stuolo di frati e di chierici, si appressò ai ragazzi e pronunziando preghiere gli unse la fronte.
Il pranzo fu imbandito nel mezzo al parco e le principesse servivano a tavola: Bianca, Beatrice, Elvira, Alice.
Prima di metter cibo alla bocca, fra i tronchi abbarbicati dalle liane e le ciuffaie degli oleandri, apparve il vescovo mitrato agitante il pastorale argenteo, con il piviale rutilante: egli, benedicendo, allargò le braccia: il piviale, foderato di verde setato, sugli orli era incendiato d'oro; sullo sfondo del cielo, nuvolato di bianco, apparve come un grande dipinto del Tiepolo. Le principesse volavano intorno alla tavola come uccelli di paradiso. Le bottiglie di vino bianco esplodevano oro sulle tovaglie.
Il vescovo, deposti i paramenti, ritornò alla tavola, ma come trasfigurato: piccolo piccolo, tutto vestito di nero, un collarino rosso sangue e uno zucchetto in cima alla testa; invece del pastorale, aveva in mano una rametta di giunco e parlava come gli altri.
Egli parlò affabile con le principesse; noi si stava tutti zitti e in ascolto:
- L'olio misto col balsamo ci confermò il segno del cristiano e la grazia ricevuta nel battesimo...
L'olio nasce dall'umor della terra e per la parola di Dio doventa cresima.
L'olio freddo sulla fronte mi sembrò che fosse l'estrema unzione.
[...]


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