Il mio padrone faceva delle lunghissime digressioni sui motivi della guerra Franco-Prussiana, nomi su nomi si accalcavano nelle sue mirabolanti narrazioni: Leopoldo, Stefano, Carlo, Augusto, Maria Antonietta, Murat, il re del Portogallo. E concludeva sempre le sue narrazioni con una frase che faceva rimanere a bocca aperta gli astanti:
– Atavismo morboso d’una stirpe regia!
Questa frase la diceva sempre battendo il tacco di una scarpa e rimanendovi sopra in equilibrio. Il mio padrone, evidentemente, faceva un insieme di tutti i Carlo della storia; il Temerario, quello di Borgogna, l’altro delle Asturie, il VII; tutti diventavano Carlo di Borbone.
Essendo egli barbiere di Corte asseriva che sarebbe stata una marcia vergogna non conoscere la storia dei padronati.
– Ne sa quanto un baccelliere di Salamanca – dicevano i clienti stupefatti.
[…]
Viareggio – Villa Borbone – Parco
Quando egli doveva recarsi al “Palazzo” – il che avveniva regolarmente due volte per settimana – faceva una minuziosa toletta e si profumava tutto di benzuino e si dava sui capelli dell’olio essenziale di bergamotta; dopo, specchiandosi, si pavoneggiava e sorrideva facendo delle lunghe digressioni ai clienti sui furori delle donne austriache.
Quando preparava la cassetta dei ferri e degli utensili non dimenticava mai una ceretta di cosmetico bionda cui egli attribuiva tante virtù miracolose. Sulla toletta c’era anche una ceretta di cosmetico nero per la tintura dei baffi bianchi, ma quella non la portava mai perchè, asseriva, una volta gli fece passare dei guai seri facendone uso nel “Palazzo” a guisa di pomata di semifreddi.
Viareggio – Villa Borbone
Ricordo che Fortunato poneva una certa crudeltà quando, a punta di forbice, sfumava la barba del generale Isidoro e, maliziosamente, lo pizzicava. Io lo guardavo suppliziare il cliente ed egli, per giustificarsi, mi diceva:
– Un giorno, il generale, ha detto che Garibaldi era un diavolo rosso: il mio Generale! – e Fortunato si metteva sull’attenti.
Fortunato diventava meticoloso quando sbarbava il conte De Lessuenne; nettava il rasoio al barbino di tela, l’affilava sulla stecca smerigliata, sdiacciava la lama passandola sul palmo della mano, poi insaponava tanto fino a che il viso del conte non sembrava di panna montata.
Io officiavo pieno di peritanza come il chierichetto all’altare; Fortunato comandava ritualmente: – Il pennello; la stecca; il barbino.
Quando la funzione era finita si andava a sbarbare la “Canaglia”. […]
Viareggio – Villa Borbone – Interno
Una mattina, il mio padrone mentre sbarbava il sottocuoco, vicino ad un barattolone di caffè tostato, se ne empì le tasche, perchè, tra gli altri, Fortunato aveva anche il viziaccio di desiderare la roba degli altri.
Quella mattina Fortunato ebbe la sfortuna di avere la controfodera di una tasca bucata e, chicco per chicco, seminò il caffè. Il sottocuoco, furente, seguendo la seminata, rintracciò Fortunato in un salone appartato ove stava diluviando un rocchio di ciccia che aveva pescato al volo dentro un caldaione bollente. Con sua maggior vergogna dovette rovesciarsi le tasche e depositare la refurtiva. Il capocuoco, intanto, flagellava di legnate un gatto che, diceva lui, gli aveva mangiato un pezzo di lesso.
Viareggio – Villa Borbone – Interno
Una mattina Fortunato Primo fu chiamato, in fretta e furia, al “Palazzo”: Sua Altezza Reale il Principe Don Jaime di Borbone necessitava dei suoi servigi. Fortunato Primo si mise in testa una bombetta, bomba addirittura si poteva dire, perchè era grande come un mezzo cilindro. Quando il mio padrone si metteva quel copricapo grandi avvenimenti stavano per succedere: funerali o danze. Quella mattina il mio padrone si era messo anche le decorazioni della campagna dell’alto Tirolo, e, andando con passo ardito verso il “Palazzo” suscitava intorno a sè come una marziale tempesta di argenti battuti.
Con ogni cautela, Fortunato Primo, fu introdotto negli appartamenti del Principe. Panini imburrati e spalmati di deliziose marmellate erano sopra un vassoio cesellato d’oro, ammanniti vicini ad una tazza fumante: la sontuosa colazione aspettava d’essere consumata da Sua Altezza Reale.
Fortunato Primo se la sbafò in un battibaleno e si forbì anche le lerfie alla salvietta cifrata. Poi, così satollo, attese imperterrito gli eventi.
– Ma non c’eri altro che te – gli diceva disperato e piangente il cameriere.
– Se sono stato io, beva veleno e, Fortunato, tolta la tazza di sul vassoio se la scolò in bocca.
La colazione fu riportata e piantonata fino a che non sopravvenne il Principe.
Ma, dopo il servizio, essendosi Fortunato Primo mantenuto sulla negativa, gli fu data una puntata sulla bocca dello stomaco, così forte, che gli fece rendere la principesca colazione.
( Lorenzo Viani, tratto da “Il figlio del pastore”, 1929 )