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Lorenzo Viani, Visita a Castelvecchio

Da Paolorossi

Portato da una macchina al cui volante è un giovane medico, sono risalito in vetta al colle di Caprona. L'automobile rampica arditamente su per le redole, profumate d'erba nascente, bofonchiando come un calabrone di metallo; i paesani di Castelvecchio, vecchi e ragazzi, chè le donne son tutte su per le selve, sporgono il capo dalle pendane delle viti sostenute ai giovani pioppelli per vedere l'incauto automobilista che si è infilato in quel labirinto senza uscita.

Sul piazzaletto vicino alla tomba del Poeta c'è ingombro di laterizi: un antico sogno di "Giovannino" e di Mariù si è realizzato: l'Asilo per i ragazzi di Castelvecchio manca soltanto del tetto. È un nido che Mariù ha voluto cinguettasse vicino alla tomba del grande fratello che tanto amava i ragazzi, e massimamente questi di Castelvecchio, che li aveva sempre per casa. L'Asilo sarà intitolato al nome dei genitori: Caterina Allocatelli Vincenzi e Ruggero Pascoli.

Bussiamo con grande peritanza al portone conventuale, che subito s'apre per darci asilo. Mariù, che attendeva tra un chiacchierio di nidi sul portichetto dalla parte del giardino solitario, ci precede. Sostiamo nel salottino, ove in un crepaccio di muro, lavorano le famose api e dove ad un tavolinetto, piccolo piccolo, lavora Mariù, lavoro di penna al momento, chè il tavolinetto è occupato da tanti foglietti minuti segnati da una aperta calligrafia.

- Così, presto avremo il vero Pascoli. Si ripete con qualche insistenza che Lei scrive la Vita di "Giovannino".
- Storie, tutte storie! Immagini che non ho nemmeno il tempo di rispondere alle lettere - e Mariù ne solleva un fascio. - Riordino, archivio, ricerco. Negli ultimi tempi Giovannino, appuntava anche su foglietti volanti le idee fuggevoli, i pensieri e anche dei versi; la Cattedra gli prendeva molto tempo, e tutti questi abbozzi pensava, raggiunta la pensione, di riordinare lui, sviluppare, concretare; invece....

Nulla è mutato in questo salottino da tre anni, ed è ferma intenzione di Mariù che tutto rimanga così; sulla parete più in luce noto un solo cambiamento: di fianco all'immagine del Pascoli è stata messa quella del Re, e le due effigi sono divise da una fiammante tricromia garibaldina: Alba di gloria di Plinio Nomellini; sulla rossa falange spiccano l'Eroe a cavallo e un trombettiere che suona la diana della riscossa. Svelo a Mariù che per quell'ardito trombettiere posai io, ventotto anni fa, sulle friabili sponde del lago di Massaciuccoli. A un rapidissimo esame del trombettiere fatto dal giovane medico risulta che non tutti i tratti somatici sono crollati.

E ricordo che quando Nomellini, in quei giorni di apoteosi garibaldina, saliva sul colle di Caprona, Pascoli speculava dall'altana e tosto che avvistava Nomellini caricava un fonografetto e vi metteva il disco dell'Inno di Garibaldi e da solo applaudiva. Pascoli sognava di vedere sulle pareti di questa casa una trasfigurazione di Garibaldi fatta dal pittore labronico.

M'accorgo che sopra un tappeto s'attruciola, s'arribiscia, un cucciolo, un lupetto dallo sguardo malizioso che ha ridotto la cocca del tappeto a guisa di un orecchio di porco e l'azzanna e la ciancica e la strappa. Da Mariù sappiamo il suo nome, un nome già noto in questa casa: Drigo. Drigo è nato a Forlimpopoli in Romagna ed è stato portato qui da Mariù quando Drigo era come un batuffolo di lana. Scacciato dal tappeto, Drigo, a cui debbono prudere i denti, s'accuccia ai piedi degli ospiti guardando invido i cappelli, repentinamente ne azzanna uno, sgridato lo lascia e addenta una scarpa. I cappelli, per consiglio di Mariù, sono messi in capo. Drigo si dispera a suo modo in un canto.

Mariù ci racconta che il colossale Argo, un cane che ha ormai la sua storia, quando vide per la prima volta padre Ermenegildo Pistelli, capitato qui a salutare il Pascoli, lo tenne d'occhio sempre, colpito dal largo cappello nero, e appena gli capitò a tiro si alzò sulle zampe posteriori, s'appoggiò con quelle anteriori sulle larghe spalle del famoso scolopio, gli addentò il cappello e si dette al fugone nel giardino.

Mentre Drigo (a cui nessuno fa reprimende perchè fa guasto sul suo) si addenta la coda, entra nel salottino un giovanottone che fa il manovale all'Asilo, e che, ai tempi in cui viveva il Poeta, era uno di quei ragazzi di Castelvecchio che eran sempre per la casa. Mariù prega il medico di visitare il "ragazzo" il quale accusa dei dolori allo sterno e al costato. Il medico lo percuote come un timpano sul petto possente, ed ascolta attento, come quelli di un orologio, i battiti del cuore: "Tutto bene".

Il ragazzo rinfrancato saluta e parte arditamente come un guerriero.

- Sono stati sempre per la casa, poveri figlioli - dice maternamente Mariù.

Ecco che sullo sfondo color ombra del salone appare l'Attilia, la fedelissima. Solenne come un affresco, ha nelle mani il dono per gli ospiti: i bicchieri avvinati e una bottiglia di quello governato dalle mani sacre del Poeta che dopo molti anni suole ribollire nei cuori. Dopo tanti mesi d'acqua incruenta non sarebbe stato irriverente cantare con l'impeto di un fraterno Poeta:

Ave, e tu, vino, che tra calde dapi
sempr'usi fole tessere co' fasti!
(Lorenzo Viani, Visita a Castelvecchio, racconto tratto da "Il cipresso e la vite" ) tu che in secol più chiaro inebriasti
principi e papi.

Ho sorbito quel vino come un cordiale di vita mentre gli ultimi raggi del cadente sole incendiavano i pampini avvinti alle graticole della casa. Ora Mariù sogna di udire tra poco, nelle sale dell'Asilo, le garrule voci dei bimbi e di vederli indugiare sul piazzaletto come uno sciame di uccelletti bianchi e che il fratello possa ascoltarli dal sarcofago in cui riposa per l'eternità, egli che tanto amava i bambini.

Porto a Mariù gli omaggi e i saluti di un bimbo, chè tale per Mariù è rimasto il professor Guglielmo Lippi. Le racconto come insieme abbiamo spezzato i rigori di una stretta clausura invernale, e le rigide vigilie, leggendo e rileggendo Pascoli, sempre Pascoli. E come io abbia letto su Fior da fiore, donato dal Poeta al bimbo, l'autografo

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