si sa che le situazioni estreme il più delle volte tirano fuori il peggio dagli esseri umani, ed è proprio ciò che succede ai protagonisti dell'ultimo romanzo di Kirino Natsuo, L'isola dei naufraghi. Kiyoko e Takashi, due coniugi di mezza età, partono per il giro del mondo in barca a vela ma ben presto si arenano, travolti da una tempesta, su di un'isola deserta. passano alcuni mesi, e un gruppo di ventitre giovani giapponesi, fuggiti da un'altra isola su cui erano costretti a un lavoro infame e massacrante, fanno anch'essi naufragio, seguiti da undici cinesi che sono invece abbandonati da alcuni uomini armati. si formano così due comunità ben distinte e spesso rivali tra di loro: quella dei giapponesi, a loro volta suddivisi in gruppetti a seconda delle affinità dei vari componenti, e quella dei cosidetti hongkong. gli hongkong, efficenti e pragmatici, si adattano molto bene alla vita selvaggia, mentre i giapponesi si perdono in discussioni filosofiche e inutili attività artistiche (e questo mi pare un evidente parallelo con le società del primo mondo che hanno da un lato i dinamici immigrati e dall'altro gli impigriti nativi). Kiyoko poi, che si ritrova ad essere l'unica donna dell'isola, ne diventa in breve tempo la regina perchè fatta oggetto dei desideri di quasi tutti gli uomini. lei vive questo ruolo come una sorta di rivalsa verso la vita banale che conduceva in Giappone; potrebbe essere la madre di quasi tutti i suoi amanti, e si compiace di quella situazione che la porta a giacere con tanti uomini giovani, cosa che nella civiltà le sarebbe impossibile. Kiyoko è esaltata dal suo potere, ma col passare del tempo gli equilibri mutano; tra i suoi compagni c'è chi perde la ragione, chi viene cacciato e isolato, chi finge l'amnesia per non voler ammettere la situazione in cui si trova, chi si suicida, chi muore in un inutile tentativo di fuga e chi, addirittura, viene assassinato. mentre i mesi continuano a passare e la situazione a cambiare, si arriva lentamente alla conclusione, che vede alcuni tornare finalmente alla civiltà e i più diventare padroni dell'isola, battezzata Tokyojima, fino a fondare una comunità armonica e realizzata. Kirino-san non sbaglia un colpo e anche questo romanzo colpisce e lascia il segno. non ci sono buonismi e in fondo nemmeno redenzione, perchè tutti, anche quelli da principio animati dalle migliori intenzioni, finiscono per diventare egoisti e malvagi quando si tratta di sopravvivere e di cercare una via di fuga; solamente l'accettazione del fatto che non si può nè abbandonare l'isola nè venire salvati li porta a ritrovare una dimensione sociale e a ricostruire una sorta di nuova civiltà, anzichè affannarsi per tornare a quella perduta. insomma: solamente quando l'interesse personale coincide con il bene comune, gli esseri umani passano dallo stadio primitivo a quello evoluto; il processo funziona anche nell'altro senso e nessuno, in nessuna epoca ne è esente. una piccola nota personale: capisci di essere intrisa di cultura pop giapponese quando sai già chi è Takenouchi Yutaka senza bisogno di guardare nel glossario. a proposito, complimenti per gli ottimi gusti in fatto di uomini, Kirino-san: anche a me piacerebbe stare su di un'isola deserta con il sosia di Yutaka!
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si sa che le situazioni estreme il più delle volte tirano fuori il peggio dagli esseri umani, ed è proprio ciò che succede ai protagonisti dell'ultimo romanzo di Kirino Natsuo, L'isola dei naufraghi. Kiyoko e Takashi, due coniugi di mezza età, partono per il giro del mondo in barca a vela ma ben presto si arenano, travolti da una tempesta, su di un'isola deserta. passano alcuni mesi, e un gruppo di ventitre giovani giapponesi, fuggiti da un'altra isola su cui erano costretti a un lavoro infame e massacrante, fanno anch'essi naufragio, seguiti da undici cinesi che sono invece abbandonati da alcuni uomini armati. si formano così due comunità ben distinte e spesso rivali tra di loro: quella dei giapponesi, a loro volta suddivisi in gruppetti a seconda delle affinità dei vari componenti, e quella dei cosidetti hongkong. gli hongkong, efficenti e pragmatici, si adattano molto bene alla vita selvaggia, mentre i giapponesi si perdono in discussioni filosofiche e inutili attività artistiche (e questo mi pare un evidente parallelo con le società del primo mondo che hanno da un lato i dinamici immigrati e dall'altro gli impigriti nativi). Kiyoko poi, che si ritrova ad essere l'unica donna dell'isola, ne diventa in breve tempo la regina perchè fatta oggetto dei desideri di quasi tutti gli uomini. lei vive questo ruolo come una sorta di rivalsa verso la vita banale che conduceva in Giappone; potrebbe essere la madre di quasi tutti i suoi amanti, e si compiace di quella situazione che la porta a giacere con tanti uomini giovani, cosa che nella civiltà le sarebbe impossibile. Kiyoko è esaltata dal suo potere, ma col passare del tempo gli equilibri mutano; tra i suoi compagni c'è chi perde la ragione, chi viene cacciato e isolato, chi finge l'amnesia per non voler ammettere la situazione in cui si trova, chi si suicida, chi muore in un inutile tentativo di fuga e chi, addirittura, viene assassinato. mentre i mesi continuano a passare e la situazione a cambiare, si arriva lentamente alla conclusione, che vede alcuni tornare finalmente alla civiltà e i più diventare padroni dell'isola, battezzata Tokyojima, fino a fondare una comunità armonica e realizzata. Kirino-san non sbaglia un colpo e anche questo romanzo colpisce e lascia il segno. non ci sono buonismi e in fondo nemmeno redenzione, perchè tutti, anche quelli da principio animati dalle migliori intenzioni, finiscono per diventare egoisti e malvagi quando si tratta di sopravvivere e di cercare una via di fuga; solamente l'accettazione del fatto che non si può nè abbandonare l'isola nè venire salvati li porta a ritrovare una dimensione sociale e a ricostruire una sorta di nuova civiltà, anzichè affannarsi per tornare a quella perduta. insomma: solamente quando l'interesse personale coincide con il bene comune, gli esseri umani passano dallo stadio primitivo a quello evoluto; il processo funziona anche nell'altro senso e nessuno, in nessuna epoca ne è esente. una piccola nota personale: capisci di essere intrisa di cultura pop giapponese quando sai già chi è Takenouchi Yutaka senza bisogno di guardare nel glossario. a proposito, complimenti per gli ottimi gusti in fatto di uomini, Kirino-san: anche a me piacerebbe stare su di un'isola deserta con il sosia di Yutaka!
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