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Lost in translations: la questione della traduzione a partire dal principio. Ovvero: il titolo

Creato il 31 marzo 2014 da Temperamente

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In un mondo in cui spirito di servizio e galanteria sono ormai un retaggio perduto di austeniana memoria, sopravvive nonostante tutto un cavalier servente, Highlander dei giorni nostri armato non di spada ma di dizionario: costui (o costei, non perdiamoci in sottigliezze di genere) è il traduttore.

Dal latino tradūcere (letteralmente: “condurre al di là”), il traduttore staziona a cavallo fra due lingue, due mondi, due culture diverse, teso nello sforzo continuo di mettere in comunicazione una parte con l’altra, travasando forme e contenuti con la mano più ferma che gli riesca di trovare: il pericolo di far traboccare stile e parole è infatti costante, e il punto non è tanto evitare che trabocchino, quanto piuttosto non farli traboccare eccessivamente.

Ma anche se qualcosa va perduto, inevitabilmente, in ogni traduzione, lo specialista nella rimozione delle barriere linguistiche cerca sempre di servire il testo nel modo più fedele possibile, rendendolo al meglio nella lingua d’arrivo (“target language”, è così che la chiamano gli addetti ai lavori; anglicizzarsi è cool e fa tendenza, di questi tempi); o almeno, servire il testo dovrebbe essere l’obiettivo di un traduttore come si deve, uno tutto d’un pezzo. Ma non è facile, e questa rubrica si propone di rendere più o meno l’idea di quanto non lo sia; la lingua-campione scelta per questa carrellata di perdite e grattacapi traduttivi è l’inglese, di competenza di chi scrive e, probabilmente, al giorno d’oggi, un po’ di tutti quanti.

Tra una tappa e l’altra di questo viaggio interlinguistico ci si concentrerà prevalentemente sui risvolti letterari della traduzione, senza però escludere altri ambiti, dal cinematografico al televisivo, come succede in questa prima puntata, dedicata all’inizio degli inizi: il titolo.

Chi ben titola…

Ovviamente, qualunque cosa, sia essa un libro o un film, comincia dal principio, che nel nostro caso è il titolo; citazione extra-testuale, gioco di parole accattivante, anticipazione sibillina, il titolo è il biglietto da visita di un qualsiasi prodotto letterario o cinematografico, e tradurlo, a volte, diventa una missione impossibile davanti alla quale pure Tom Cruise batterebbe in ritirata.

Purtroppo, non tutti i titoli si prestano a traduzioni immediate come The Da Vinci Code (Il codice Da Vinci), Pride and Prejudice (Orgoglio e pregiudizio) e The Lord of the Rings (Il signore degli anelli); e allora, il traduttore è solo con il suo dramma, oppure a volte, come vedremo, gli viene richiesto di rispondere a direttive editoriali ben precise.

il giovane holden

Un esempio emblematico della difficoltà di tradurre i titoli è quello di The Catcher in the Rye, che dizionario alla mano diventerebbe “Il ricevitore nella segale”, titolo che nessun lettore italiano riconoscerebbe là per là, e nemmeno riflettendoci su. Il titolo corrispondente nella nostra lingua, infatti, è Il giovane Holden, il romanzo di Salinger sull’alienazione adolescenziale che, per lo stile e il linguaggio peculiari che ne hanno fatto la fortuna, promette crisi traduttive che vanno ben oltre il problematico titolo. E così, mentre l’originale inglese è un riferimento al verso di una poesia storpiata dal protagonista, e fa leva su due termini più che popolari nel linguaggio corrente americano (il “catcher”, infatti, è un ruolo del baseball, e il “rye” rimanda al “rye whiskey”), la traduzione italiana è l’insipidità fatta titolo; d’altronde, “Il ricevitore nella segale” avrebbe senz’altro fatto sgranare gli occhi ai possibili lettori.

Peggio ancora quando, invece, i titoli originali possiedono un doppio significato, derivano da un modo di dire o sono costruiti con un gioco di parole: è questo il caso di The Man with Two Left Feet, racconto del grande umorista inglese P.G. Wodehouse, tradotto letteralmente con L’uomo con due piedi sinistri, che non significa assolutamente niente ma che, complice il mondo surreale e i personaggi sgangherati di Wodehouse, riesce a passare inosservato. Per la cronaca, in inglese “avere due piedi sinistri significa “ballare malissimo”.

L’ultimo esempio letterario presentato qui è il titolo di un (meraviglioso) thriller di Agatha Christie, Crooked House, che letteralmente dovrebbe essere reso con “Casa storta”; la “stortura” a cui allude questo titolo inquietante riguarda da vicino l’insospettabile assassino di turno. L’edizione italiana recita È un problema (sottinteso: tradurre questo titolo).

agatha cristie

Ma il cinema regala spunti altrettanto interessanti: un esempio su tutti, il caso dei vari “Se fai qualcosa, io faccio qualcos’altro”, che annovera, fra gli altri, Se mi lasci ti cancello, Se scappi ti sposo, Se cucini ti sposo, e la variante a parti invertite Se ti investo mi sposi?, titoli che suonano più o meno minacciosi alle orecchie di celibi e nubili impenitenti, perché non serve scappare così come basta preparare un’omelette, l’altare è lì a un passo. Sarebbe forse superfluo chiarire che non uno solo di questi titoli, in originale, minacciava lo spettatore (i titoli in inglese sono, rispettivamente, Endless Sunshine of the Spotless Mind, Runaway Bride, Time Share e Elvis Has Left the Building). La scelta traduttiva “seriale” adottata dall’Italia mirava certamente a creare un filone di prodotti che, richiamandosi l’un l’altro, avrebbero suggerito allo spettatore una familiare continuità; peccato che l’improprio Se mi lasci ti cancello sia un film di diversi significato e levatura, e che sia finito nel calderone dei minacciosi “Se” per…non si sa bene quale motivo.

L’elenco di film con titoli italiani che, confrontati con l’originale inglese, strappano un sospiro perplesso allo spettatore è piuttosto lungo, e se a volte lo stravolgimento è inevitabile, altre volte viene il sospetto che si sarebbe potuto evitare: esemplare, in quest’ultimo caso, il primo capitolo della fortunatissima saga dei “Pirati dei Caraibi”, intitolato The Curse of the Black Pearl (“La maledizione della Perla Nera”), e tradotto con La maledizione della prima luna, sostituendo alla nave del pirata Jack Sparrow la “prima luna” che innesca la maledizione; perché se ne sia sentita la necessità, non si capisce bene.

pirati dei caraibi

Oggigiorno, in ogni caso, il problema titolo è spesso arginato, soprattutto per quanto riguarda generi popolari fra gli adolescenti, dal fantasy al paranormal romance: se lapidario e attraente, il titolo originale non viene tradotto affatto, o al massimo è accompagnato da un sottotitolo chiarificatore nella lingua d’arrivo. Quindi abbiamo Twilight, Hunger Games e Shadowhunters, titoli invariati tanto nelle versioni letterarie quanto nelle loro trasposizioni cinematografiche; l’ultimo citato non è l’originale, ma per il pubblico italiano si è scelto comunque di mantenere un titolo inglese, estrapolandolo dalla trama. Insomma, sarà per il fascino esotico della lingua straniera, sarà perché, ancora una volta, si tende al richiamo seriale intertestuale, ma Twilight e gli altri volumi della saga, tutti dai titoli rigorosamente “congelati”, non hanno avuto alcun problema a diventare veri e propri cult fra le giovanissime. Che poi, una dodicenne con una cultura media, “Crepuscolo”, forse, non sa neanche cosa significhi.

Se questa prima fase di “riscaldamento” vi è piaciuta, non perdete il prossimo appuntamento; strada traducendo, ne vedremo delle belle!

 Mariachiara Eredia


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