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Lost River, Ryan Gosling regista postmoderno – La recensione

Creato il 21 maggio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

21 maggio 2014 • Festival di Cannes 2014, Speciale Festival di Cannes, Speciale Festival OAC, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Antonio Valerio Spera

Summary:

Che Ryan Gosling avesse un enorme talento non ne avevamo dubbi. Che esso però non fosse soltanto solo recitativo ma che anzi potesse portarlo anche ad un’interessante carriera come regista, fino ad oggi non ce lo saremmo mai aspettato. Chiaramente non si può parlare ancora di carriera, dato che siamo solo all’inizio, ma il suo esordio dietro la macchina da presa ci consegna un autore interessante, dallo sguardo originale, dalle idee chiare, che sicuramente vedremo nuovamente in tempi brevi alle prese con una nuova pellicola. Lost River, presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard, svela infatti un regista con tante cose da dire e da mostrare.

Per descrivere e analizzare la pellicola è inutile raccontarne la trama. Non tanto perché appare contorta, complessa, assurda e per questo difficile da riassumere in poche parole, quanto perché essa sembra costituire in questo caso soltanto un pretesto per un gioco cinefilo, citazionista e a tratti manieristico. Tale affermazione non ci serve da introduzione ad una stroncatura netta del film. Pur non convincendo in pieno proprio per questo motivo, Lost River non è difatti un’opera non riuscita, ma una pellicola che va presa contrariamente come un esperimento, come una prova, come una sfida con se stesso di un giovane attore che vuole cimentarsi per la prima volta nella regia. Gosling decide così, con il suo esordio, di chiarire tutte le sue ispirazioni e i suoi amori cinematografici.

Film cast - Photocall - Lost River © FDC / M. Petit

Film cast – Photocall – Lost River © FDC / M. Petit

Nella fiaba dark che mette in scena, con un cast che vede tra i protagonisti Christina Hendricks, Saoirse Ronan e Eva Mendes, assistiamo ad una rielaborazione personale e postmoderna del cinema di David Lynch e di quello di un artigiano di genere come Roger Corman; si sente l’eco di molta letteratura, da Edgar Allan Poe a Bukowski; e il tutto sembra evidentemente influenzato dall’estetica del regista che ha segnato l’ultima parte della carriera di Gosling, Nicolas Winding Refn. Luci al neon, case infuocate, personaggi inquietanti e misteriosi, danze improvvise, sangue immotivato: sono questi gli elementi che caratterizzano questo suggestivo lavoro, che sfugge ogni categoria e ogni possibile catalogazione. Sicuramente si tratta di un film, stilisticamente parlando, non perfettamente coerente per tutti i suoi 105 minuti di durata, che riesce alla fine a darsi unità soprattutto grazie ad un notevole lavoro di montaggio, ma è innegabile la sua essenza creativa non omologata alle regole dell’industria hollywoodiana. Per un giudizio definitivo sul Gosling regista, è bene attendere la sua seconda prova.

di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net

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