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Lotta d'identità

Creato il 18 agosto 2010 da Lucas

I miei bisnonni, lato paterno, erano veneti (Bassano) "emigrati" in Toscana per lavoro tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 (erano dipendenti della "defunta" Società Veneta ferrovie), anche se i «Massaro sono presenti a macchia di leopardo in tutt'Italia, si individuano ceppi nel ragusano, nelle Puglie, nel napoletano, nel palermitano, nel centro Italia, in Piemonte, Lombardia, Emilia e [appunto] nel Veneto»[*]. Nelle mie “vene” dunque scorre una minima dose di sangue “veneto”, simile a una particella di sodio nell'acqua del Lete. Sicuramente questo non sarà sufficiente al Presidente della regione Veneto, Luca Zaia [il Ri-governatore], per riconoscermi, per identificarmi, come parte del popolo e del suo territorio. Ma aldilà delle facili ironie contro questo modo di fare politica con la clava e il filo spinato, mi domando: se i cittadini “veneti”, “lombardi”, “piemontesi”, “liguri”, “emiliani”, “romagnoli”, padani tout court che sono contrari al leghismo e al tribalismo, dovessero protestare a voce alta e far bau bau ricevendo costante attenzione mediatica(ma da chi?) e si ritrovassero in una specie di Pontida alternativa per far numero, contarsi, mostrarsi - sarebbero abbastanza sufficienti da formare una massa critica che dica in modo forte e chiaro al cosiddetto popolo leghista “avete rotto il cazzo”?

Penso a questo mettendo in relazione questo post di Giulio Mozzi e L'amaca di Michele Serra del 14 agosto scorso, che riporto:

«Quello che ci si chiede, di fronte al sempre più minaccioso localismo leghista, è come e quando ci sarà la rivolta degli italiani che lo vivono come un'offesa, una violazione identitaria (a furia di blaterare di "identità", perfino noi italiani ci stiamo accorgendo di averne una). "Padroni a casa nostra", come dice la Lega, noi italiani del Nord non lo siamo più da un pezzo, e non lo siamo per colpa di Bossi, non di Roma. Non lo sono, padroni a casa loro, quei veneti che si sentono italiani prima che veneti, i milanesi di casa in Europa che non capiscono perché il loro futuro dovrebbe dipendere da Varese o da Pontedilegno, i piemontesi che, con tutto il rispetto per Cuneo, guardano alla Francia e si sentono nipoti di Cavour e non parenti di Cota. Ne abbiamo le tasche piene e siamo in tanti, siamo stufi di subire le prepotenze e le mattane di una minoranza che si è auto-nominata "Padania" e parla a nome di tutto il Nord senza averne alcun diritto. A partire dal primo gennaio 2011, anno del centocinquantenario, mi metterò addosso ogni giorno, per 365 giorni, qualcosa di tricolore (un distintivo, una fascetta, una coccarda come fa Paolo Rumiz nel suo bel viaggio "garibaldino"). Più che per polemica, per dignità. Anzi: per identità».

foto:flickr

Lotta d'identità

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