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Se il male è di per sè ineluttabile "All good things", il nuovo ed inedito (in Italia) film di Andrew Jareki ne è la conferma più lampante. Partendo da una vicenda realmente accaduta e conclusasi con l'assoluzione dell'imputato, l'imprenditore Robert Durst trasfigurato nell'inquietante figura di David Marks (Ryan Gosling), sospettato di aver ucciso la giovane moglie e di averne occultato il cadavere, l'equivalente filmico è una ricostruzione dei fatti condizionata dalla mancanza di una prova accusatoria. Una condizione che sposta i contenuti sul piano dell'ipotesi, permettendo al cinema di soddisfare il principio ordinatore che lo sottende nella logica impazzita di un uomo danneggiato.
Così se dà una parte la narrazione procede dalla deposizione giurata del protagonista, chiamato a rispondere non solo dell'uxoricidio ma anche di un'altra serie di omicidi che a quello si legano, dall'altra il film si sviluppa in maniera autonoma, seguendo un percorso che usa il punto di vista dell'accusato come contraltare di una colpevolezza affermata senza ombra di dubbio. Se la fine è nota Jareki cerca di fare luce sullo stato delle cose, ripercorrendo i momenti di un'unione, quella tra Mark e Katie, nata dal tentativo del primo di sottrarsi dalla grinfie di un padre padrone (un regale Frank Langella), e da un infanzia funestata dal suicidio della madre di cui egli stesso è stato infausto testimone. Un connubio inizialmente felice, e poi messo in crisi dal progressivo deteriorasi dello stato psicologico dell'uomo, compresso dagli obblighi derivati da un lavoro non amato (per conto del padre è addetto alle riscossioni degli affitti in un quartiere malfamato), e tormentato dalla paura di non essere all'altezza di un matrimonio con una donna che lo ama veramente. Conseguenze inevitabili che non tardano a manifestarsi in una distanza affettiva che si traduce in violenza quando Katie è sul punto di lasciarlo.
Jareki che aveva già affrontato le disfunzioni familiari nel pluripremiato e drammatico "Capturing the Wiseman", documentario indagine sulla scoperta di un'orribile nefandezza, tenta di far convivere l'oggettività dello sguardo con le esigenze delle altre componenti, drammaturgiche ed anche cronachistiche (la riapertura del processo occupò le prime pagine dei giornali). Una commistione evidente nella struttura del film, tripartita in altrettanti prospettive: del protagonista nei brevi inserti del processo ripresi con primi piani ravvicinatissimi, del regista nell'esposizione dei fatti raccontati con largo uso di campi medi e lunghi che sottolineano la ricerca di una distanza emotiva, di genere, il giallo psicologico a cui il film si rifà con atmosfere sospese nella sensazione di un pericolo incombente, successivamente affermato in maniera plateale, quasi un omaggio al De Palma di "Dressed to kill" per un ambiguità ottenuta giocando sull'aspetto estetico del soggetto, nella scena in cui una figura misteriosa si disfa in maniera furtiva di un fardello dal contenuto che potrebbe collegarsi alla scomparsa di Katie. Con la telecamera che nell'assenza di movimento restituisce l'anaffettività di un personaggio imprigionato dentro i propri incubi, Jareki evita di soffermarsi sulle ragioni di tale violenza, appena accennate nel tormentato rapporto con una figura paterna castrante e dominante, per lasciare spazio alle conseguenze. Il male omesso dallo schermo per l'assoluta assenza di scene cruente vi rientra attraverso lo sguardo assente di Ryan Gosling, qui alle prese con una delle sue performance migliori insieme a quelle di "The Believer" e "Hal Nelson". E' lui, presente dall'inizio alla fine ed impegnato in una parte complicata da aspetti anagrafici — la storia si sviluppa in un arco di tempo di circa 30 anni — e contingenti — per cercare di farsi dimenticare Marks arriverà persino ad inventarsi un identità femminile-, supportato da una convincente Kirsten Durst a cui spetta il compito di esplicare gli stati d'animo del film, il valore aggiunto di un opera penalizzato da complicazioni produttive che in parte ne hanno ridotto la distribuizione. In mezzo a tante uscite da dimenticare questo è un film da non lasciarsi scappare.
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