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Luci della città

Creato il 22 febbraio 2013 da Nehovistecose

(City Lights)Locandina

Regia di Charlie Chaplin

con Charlie Chaplin (un vagabondo), Virginia Cherrill (una fioraia cieca), Harry Myers (un milionario eccentrico), Florence Lee (la nonna della fioraia), Allan Garcia (James, il maggiordomo), Hank Mann (un pugile), Henry Bergman (il sindaco).

PAESE: USA 1931
GENERE: Comico
DURATA: 87’

Dopo aver rovinato l’inaugurazione della Statua della Giustizia, Charlot diventa amico di un milionario beone che di notte lo ama e di giorno lo odia. Intanto, si innamora di una bella fioraia cieca che lo crede un aristocratico…

Il primo film di Chaplin dopo l’avvento (1929) del sonoro è anche uno dei suoi grandi, indimenticabili capolavori, nonché una delle vette più alte mai raggiunte dalla settima arte. Sotto il vestito della farsa si cela un ennesimo, centrato atto d’accusa contro la società capitalistica, che conduce alla solitudine e cancella l’individuo. Nella prima scena il vagabondo si risveglia irrispettosamente sulla statua della giustizia: basterebbe una sequenza semplice e apparentemente innocua come questa per comprendere le finezze di un film assai profondo, impregnato di una crudele satira sociale che evidenzia gli abomini “classisti” del suo (e del nostro) tempo. È, in fondo, un film sull’amore, inteso come salvazione dalle brutture del mondo; è un film gioioso e vitale, ottimista ma mai consolatorio. Andando controcorrente, il cinema di Chaplin resta un cinema orgogliosamente muto, che tuttavia tiene conto delle possibilità espressive offerte – più che dai dialoghi, non presenti – dai suoni e dai rumori: il regista irride la scarsa rilevanza delle parole (rispetto alla “potenza” delle immagini) trasformando il verbo in un vociare incomprensibile (si veda il modo di parlare del sindaco, o quello del cantante alla festa) e facendo del suono sincronizzato con l’immagine un elemento che, invece di togliere espressione alla comicità slapstick chapliniana, quindi muta, la accentua, come dimostra l’esilarante sequenza dell’incontro di boxe (in cui Charlot tira la corda del campanello senza accorgersene) o quella, ancor più celebre, del fischietto ingoiato dal malcapitato tramp. Dopo le sperimentazioni sulla profondità di campo de La febbre dell’oro e Il monello, Chaplin raggiunge una maturità artistico- registica tutt’oggi insuperata: ogni inquadratura è composta in modo ineccepibile, ogni gag coreografata in modo impeccabile, ogni movimento di macchina è delizioso e strutturato. La canzone finale è La violetera di Josè Padilla. È uno dei film più dolci, divertenti e commoventi della storia del cinema, e non a caso alla sua uscita mise d’accordo pubblico e critica. Assolutamente da non perdere.

Voto



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