"forse sulle spiagge estive c'è troppa luce, così finisce che dentro di me rimane solo ombra"
cito Andrea Pomella nel post La luce interna che mi occorre per vivere, un autore la cui scoperta varrebbe già da sè l'iscrizione da scrittrice free-nelverosensodellaparola-lance alla rivista Paperblog. Questa rivista è in realtà un aggregatore di contenuti e il mio modesto contributo finirà in qualche sua rubrica da definire mentre spero accrescerà la audience a questo blog. Non ho che riconoscenza e gratitudine per i 4 fedeli che mi seguono da sempre ma vorrei ampliare il giro, avere più feedback altrimenti questo diventa un esercizio troppo intimistico, che posso ottenere semplicemente spedendo le pagine del mio diario ai 4 adepti, via e-mail.
Tornando alla frase di Pomella (che faccio lo chiamo Andrea? Signor Pomella? Yo Andy, my man...?) , i suoi post mi fanno l'effetto di un cazzotto nel plesso solare. Ammiro prima di tutto il suo stile sintetico, come riesce a sintetizzare il pensiero e renderlo con temini precisi e ben scelti, non troppo ricercati da farlo passare da phony (come direbbe il giovane Holden) ma dove si vede cultura e possesso del linguaggio. Una capacità di sintesi e linearità uìinvidiabili per una come me che, come sapete voi che mi leggete da un po', a me non riesce proprio.
L'altra cosa che mi fa tornare a leggere a ritroso il suo blog è la capacità di creare atmosfere che mi risvegliano il ricordo di malesseri passati, angosce da tempo superate che però stanno in agguato pronte a ripresentarsi alla minima sollecitazione. Ma anche la sua capacità di saziare con prelibati bocconcini di parole, immagini e contenuti il mio cervellino affamato di stimoli.
Il punteruolo di Pomella ha scalzato un paio di questi ricordi...
In "Miss Qualcosa" la spiacevole sensazione di essere un'alieno, di non condividere le passioni della maggioranza delle persone che mi circondano, con l'insicurezza che deriva dal domandarsi: ma sono umana? E se sì perchè non riesco a partecipare alla vita senza essere spettatrice di me stessa? Una volta questo era sorgente di molto soul-searching e di notevole ansietà mentre il passar del tempo e l'inesistenza di una soluzione al problema mi hanno portata a tramutare un'apparente carenza in un'apparente forza; accetto che sono difetti e che sono miei e cerco di vendere al prossimo il prodotto finito sperando che non ne vedano solo le crepe. Cioè, sarò una snob, ma certe cose mi piacciono e altre no. Ma non c'è niente di male a pensarla differentemente, se non si impedisce la diversità.In "Qui non c'è mitologia" mi ha risvegliato la dolorosa sensazione data da un pugno immaginario che ti chiude l'esofago, sensazione che insieme a quella di averlo pieno di farfalle e gechi ha perdurato per mesi dopo la lettura de La Nausea di Sartre. La descrizione dell'ambiente in cui si risveglia il narratore (è Pomella? O è' un personaggio immaginario, l'eroe di una mitologia inesistente?) mi fa venire in mente gli appartamenti borghesi di certe conoscenze: i pavimenti di graniglia che rimbalzano i suoni nel vuoto di androni illuminati da luce sterile e fredda che cade dall'alto dei soffitti. Luoghi privi di ombre e quindi di profondità, mancanti di texture, della materialità delle cose che solo la luce radente o la pozza di buio dietro al dettaglio illuminato, fa risaltare. Questa luce da ristorante Fast Food mi fa rabbrividire persino nei racconti. I dettagli di tutto quello che è fisico nel racconto mi guidano verso un annichilimento emotivo che riconosco con paura: non voglio, non posso riviverli, me ne basta l'intimazione per farmi sentire viva e in salvo, reduce e scampata allo squallore. Per farmi aggrappare come una naufraga all'idea che la letteratura di cui l'autore teme essere estraneo, se illuminata in modo giusto è una gloria per gli occhi e per l'anima.
Luci ed ombre, Ying e Yeng, la dualità in ogni cosa, gli opposti che si completano. Ecco un po' di ordine nel caos che ci circonda.E ora vediamo come catalogano questo post...