Vittoria Averni
Chissà perché la maggior parte dei libri, delle canzoni, poesie e opere teatrali che parlano d’amore raccontano di innamorati sfortunati. Dalla notte dei tempi, da quando l’uomo ha cominciato ad esprimere a parole i propri sentimenti ed emozioni, a raccontare delle vicende vissute o verosimili, si è quasi sempre concentrato sullo spinoso quanto tragicamente affascinante tema dell’amore contrastato ed infelice. Forse perché più vicino alla realtà del famoso e per certi versi stucchevole “e vissero per sempre felici e contenti”, forse perché l’animo umano è governato costantemente dalle due spinte contrapposte di Eros e Thanatos, o magari perché a parte pochissimi fortunati quasi tutti hanno provato delle pene d’amore, è comunque l’amore tragico ad essere l’onnipresente protagonista delle opere letterarie, e in particolare delle tragedie liriche. E a ciò non fa eccezione Lucia di Lammermoor, melodramma di Gaetano Donizetti e del librettista Salvatore Cammarano, andato in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania con la direzione di Leonardo Catalanotto e la regia di Guglielmo Ferro. Ispirata a The Bride of Lammermoor di Walter Scott, la storia narra dei giovani Lucia ed Edgardo, appartenenti a due nobili famiglie scozzesi rivali, segretamente innamorati. Ma come in ogni dramma che si rispetti il fratello di lei, Enrico, viene a sapere dell’amore tra i due e tenta con ogni mezzo di ostacolarlo, raggirando Lucia e facendole sposare con l’inganno il ricco e potente alleato Arturo, matrimonio che si trasformerà in tragedia per tutti.
Un amore tra i più infelici, quello tra Lucia ed Edgardo, che, separati non solo dalla sorte avversa e dall’odio, dalla superbia e dalla sete di vendetta di Enrico e dei suoi consiglieri, che sacrificano senza indugio la ragazza (portandola alla pazzia) per un vantaggio politico e personale, ma anche dalle calunnie, dalle bugie e dai sospetti che ne intaccano la fiducia, solo la morte riavvicina ed unisce nuovamente. È con grande perizia che il soprano Rosanna Savoia interpreta Lucia, innamorata e fragile nel primo atto (esemplificata dal timbro dell’arpa presente nel duetto tra i due protagonisti e che evoca l’aspettativa fiduciosa e il sogno da una parte e la paura e i tragici presagi di morte dall’altra) e impazzita per il sogno infranto nel secondo atto: eccellente la sua performance durante tutta l’opera ed assolutamente superba nella “scena della pazzia”, nella quale duetta col flauto traverso Giovanni Roselli incantando il pubblico con un fuori programma di grandissimo pregio. Altrettanto encomiabile è la prestazione del tenore Emanuele D’Aguanno nel ruolo di Sir Edgardo di Ravenswood, eroe romantico per eccellenza, travolto dalla passione per Lucia e dal rancore per il nemico e il fato avverso.
È inoltre degna di nota l’interpretazione del baritono Piero Terranova nell’interpretare Lord Enrico Ashton, che con grandi doti canore e presenza scenica connota il ruolo del fratello ingannatore e subdolo, mosso dalla vendetta e dal disprezzo. Risulta come sempre eccellente la prestazione dei componenti del Coro e dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini che, diretti da Leonardo Catalanotto, hanno preceduto l’inizio di Lucia di Lammermoor con una breve manifestazione accompagnata dalle note della Marcia funebre di Chopin, per esprimere ancora una volta il loro disagio per lo stato di profonda crisi (speriamo momentanea) in cui versa il teatro catanese. Un teatro, vorrei ricordarlo, che oltre a costituire un patrimonio artistico di grande valore, è un luogo che celebra la cultura, un luogo la cui sorte dovrebbe importare a tutti, non solo gli amanti della musica lirica e sinfonica. Perché una città senza un teatro oggi, domani senza librerie o cinema, è una città senza vita e senza futuro.
Foto di Giacomo Orlando per il Teatro Massimo Bellini