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Ludovico Antonio Muratori

Creato il 05 giugno 2011 da Fabry2010

Ludovico Antonio Muratori

Una voce profetica di civiltà

L’illuminismo illuminato in Ludovico Antonio Muratori (1672 Vignola ,1750 Modena)

di Adelio Valsecchi

Oggi nella disamina dei problemi della collettività, del suo dinamismo psicosociale, si paventa una recrudescenza delle contrapposizioni fra due principi che sono attigui alla legge di non contraddizione di aristotelica memoria e abitano la conoscenza e la ragione umana : il vero e il falso; o se vogliamo stare nell’ambito squisitamente sociale : la verità e la menzogna. Tra loro vivere in empatia è agire contro natura. In mano agli uomini poi creano giochi capricciosi che generano divisioni e suscitano acrimonie sin dall’antichità.

Ma avendo l’ uomo conquistato a fatica una rinnovata civiltà, il peso di tali conflitti frena il dialogo fra le parti sociali, rallenta la percezione del buon senso, svilisce la fiducia nelle istituzioni e nelle relazioni umane. Vittorino Andreoli, sul “Corriere della Sera” dell’11 Maggio descrive la malaugurata irruzione di questo virus nella compagine sociale, le sue insidie per quanto riguarda i rapporti con noi stessi, con la morale e la coscienza. Ed enuncia le tre modalità di esprimere il falso piuttosto che il vero : “la bugia – desiderio,” che è espressione familiare a Pinocchio per sentirsi come i suoi compagni e non un burattino di legno. Tale contraffatta verità suscitata dai nostri desideri, appartiene alla sfera individuale. Non produce pandemie.

Ė la menzogna «che ha un significato differente, più grave, perché è strumentale a un vantaggio pratico di chi la usa e di conseguenza crea danni a chi ne è coinvolto ».

Ma ciò che accora di più lo scrittore psichiatra, è la “menzogna collettiva” proferita da una molteplicità di soggetti giuridici che mentono sapendo di mentire e fanno della menzogna un idolo mediatico, perfido strumento degli interessi particolari dei gruppi economici e politici perché « si impone la verità che di fatto è menzogna».

Se questo modo di essere diventa consuetudine acritica, si lede il tessuto sociale in profondità, viene meno il dialogo che è l’anima della convivenza, si produce l’inane cultura della desuetudine alla verità, alle regole, alla giustizia, alla libertà, al buon senso.

In questo contesto, se coloro che si esercitano ad affermare unanimemente imposture sono i responsabili del bene sociale, la frattura fra la società e gli individui, fra le istituzioni e l’esercizio del potere, diventa mortale.

Si adombra la giustizia distributiva che ci insegnava la sapienza antica, il bene comune che è la radice della democrazia liberale e il buon gusto, espressione creativa che guida con la ragione le buone abitudini del dire e del fare nelle relazioni umane.

Possiamo noi solo indignarci di fronte a questo sovvertimento della verità in tempi in cui lo svilimento dei valori e dei diritti sembra separare le persone, allontanare chi sovrintende il bene sociale, smobilitare il senso religioso della vita?

Si è posto lo stesso quesito nel XVII e XVIII secolo, Ludovico Antonio Muratori ( Vignola 1672 / Modena1750) Nobile prete di umili origini, pensatore di grande respiro e istinto profetico, di enciclopedica cultura, storico appassionato, letterato, filosofo e teologo, sovrintendente della biblioteca ambrosiana, difensore della pace nelle classi sociali, combatteva con vigore ma solo con le parole, l’animosità delle ribellioni contro il potere costituito.

Nell’irruenza delle sue convinzioni in difesa della dignità e della vera libertà umana, voleva riformare la società con la forza della moderazione, del convincimento, animato da quella “Cultura milanese” che è un insieme di creatività, ingegno, linguaggio schietto, rispetto della parola data, capacità di integrare differenti competenze, perizia nell’elargire opportunità a chiunque abbia idee e grande solidarietà sociale come già diceva dei milanesi San Bernardino da Siena tre secoli prima.

“Nelle riflessioni sopra il buon gusto” (opera di carattere estetico) si descrivono con spirito costruttivo, le debolezze dell’Italia, la necessità di unificare la cultura per inalvearla verso il più nobile dei fini : il bene comune. Tale progetto, contiguo alla virtù cristiana della carità, lo accompagnerà per tutta la vita sia nella sua dimensione pratica (l’esercizio della carità non solo dona ma promuove bene comune) sia sull’orizzonte della cultura e della conoscenza ( tutte le creature di Dio hanno il diritto di conoscere la loro storia e il mondo in cui vivono).

Nell’ultima sua opera “Della pubblica felicità”(1749) continua a estrinsecare questo suo pervasivo istinto naturale all’educazione del buon senso, del buon gusto, del bene comune che si avvera nella “pubblica felicità”, dimostrando che la sua tempra intellettuale sa realizzare con caparbietà ciò che serve alla società in tempi in cui predominava ancora la cultura della forza sulla forza della cultura. Questa opera segna il passaggio tra la cultura politica di antico regime e quella moderna. Ludovico Antonio Muratori vive con intensità questo scarto tra l’antico e il moderno e anche se alcune sue intuizioni sono figlie del suo tempo, ci insegna con grande perspicacia pedagogica, un possibile futuro per una stupefatta umanità recalcitrante agli smarrimenti e alle disattese speranze ma aperta al nuovo che avanza. E il fascino che evoca è l’ inusuale umana scommessa della “pubblica felicità” che ha le sue radici nel “Bene Comune” ma allarga i suoi orizzonti non solo nella materia ma anche nello Spirito e si connette necessariamente con l’idea del “principe buono” in grado, per virtù personale, di interpretare al meglio le aspettative e i bisogni del popolo. «Se i principi si degnassero di fare alquanto di riflessione al loro ministero, intenderebbero da per se stessi qual sia l’istituto della natura e quale l’intenzione di Dio in aver consegnato alla loro cura popoli da governare. Certamente per procurar la felicità a tante suddite persone, e non già per procacciar loro l’infelicità» Queste idee venivano seminate sia nei salotti dei nobili che nelle chiese e nelle piazze del popolo. Il senso che Muratori vuol riferire al termine “felicità,” appartiene alla tradizione : felicità intesa come pubblico bene, come bene comune, come diritto che Dio concede alla sue creature. Ė quindi una felicità che viene da Dio, da una Giustizia che non parla nel linguaggio degli uomini ma ne anima lo spirito per far interagire “cum prudentia” il popolo che ha il diritto al pubblico bene, con colui che ha il diritto dovere di orientare e guidare la società. Il compito del principe sta nell’offrire ai sudditi non un’astratta dose di felicità ” ma quella che è possibile al mondo”.

Le teorie sociali del Muratori non sono rivolte all’uomo di stato in sé, né a una supposta opinione pubblica ma all’uomo – principe per nobiltà e per virtù . Tale persuasione è per quel tempo un’autentica sfida alla moderna politica assoluta in cui la libertà geme e il bene pubblico è latitante. La tradizione è un valore imprescindibile ma la novità dell’ermeneutica muratoriana trova un equilibrio costruttivo tra l’antico e il moderno senza farci sviare da un eccessivo rispetto della tradizione né dalla seduzione della modernità. Queste sollecitazioni hanno contribuito a preparare l’avvento ormai maturo dei diritti che più avanti avranno modo di allignare in una società stanca di illiberalità.

Sono mille le cause che hanno rinnovato il modo di pensare sociale e politico nei secoli XVII e XVIII. In Francia l’apporto dato dalla cultura cattolica sotto la spinta delle frange più dinamiche delle Chiese locali, associato ai movimenti dei letterati, dei filosofi utopisti, del mondo scientifico rigenerato da un attivismo senza precedenti, aveva originato la fierezza di intendere la vita e il sapere in simbiosi alla dignità della natura e all’identità dell’uomo.

Accanto a Voltaire, D’Alambert, Diderot, si distinsero gli ecclesiastici e i curati di campagna o di piccoli agglomerati urbani i quali tentarono di alfabetizzare il popolo perchè comprendesse e facesse valere i propri diritti fondamentali di fronte ai soprusi delle classi aristocratiche.

Così come erano predisposte le strutture sociali, le relazioni di potere non permettevano di esercitare una libertà degna dell’uomo e della civiltà già raggiunta.

Ma il terreno era dissodato per realizzare una società di cittadini più attenta ai bisogni delle masse in continuo travaglio per la sopravvivenza, restituendo alla dignità dell’uomo, l’apprezzamento della vita, su un piano di “Uguaglianza, Fraternità e Libertà”. Lo sforzo prodotto nei secoli precedenti, investe con impeto questo periodo, ricco di eventi culturali e coinvolge tanti settori della società alla preparazione e al rinnovamento del modo di pensare e di vivere.

La Controriforma aveva anche prodotto un più solido legame fra le strutture interne della Chiesa e la vita quotidiana della gente in modo particolare attraverso l’opera degli ordini religiosi.

In questo contesto la libertà verrà configurata come uno dei diritti fondamentali dell’uomo.

In Italia Ludovico Antonio Muratori è l’interprete più attento e moderato di questo tempo, al quale l’illuminismo italiano, pur così diverso da lui nelle credenze e nelle abitudini, ha fatto riferimento e lo ha sempre considerato con simpatia un maestro. Già dai primi scritti aveva enunciato i principi basilari delle sue idee: chiarire, illuminare la Verità e giovare al bene comune.(Primi discorsi, Riflessioni).

Nelle sue opere si appellava ai diritti di natura e del popolo, al “tacito ma indispensabile e chiarissimo patto, stipulato fra il principe ed il popolo”.

Era sempre ispirato dall’interesse sociale, dall’esigenza del bene comune, dal sentimento di una felicità non privilegio dei ricchi, ma diritto di tutto il popolo. Poneva come fondamento di ogni sua ricerca la pratica utilità, il pubblico bene, la felice convivenza fra i popoli.

L’espressione moderata, la raffinatezza del linguaggio, ammorbidivano i significati ed i contenuti del suo ragionare ma nessuno poteva fermarlo nelle esternazioni e nelle sue convinzioni, né un papa né un re. Quando il pubblico bene era contrastato, quando giustizia e verità si ponevano al centro delle questioni, non aveva remore e sfidava le opposizioni più radicali.

Esortava i suoi fedeli, sottolineando la necessità di «darsi a devozioni sostanziali, a virtù massicce e fra queste la più rilevante è la carità», intesa come genuinità di cuore verso i fratelli e docilità della mente nel dialogo con Dio.

Egli riteneva che dal pulpito, fosse più utile incoraggiare che lamentarsi, fosse più opportuno spronare al bene coloro che si credevano nobili e coloro che si giudicavano poveri, spiegare al popolo come far buon uso del loro tempo piuttosto che inveire contro il malcostume.

Sebbene l’anima del suo pensiero sociale si ponesse a difesa dei diseredati e degli oppressi, di chi viveva nell’indigenza fisica e morale, Ludovico Antonio Muratori era consapevole che le gerarchie umane andassero rispettate e chi si ribellava all’autorità aveva sempre torto.

Questo atteggiamento mentale è il suo limite e paradossalmente anche il suo merito. E’ un limite, in quanto gli archetipi religiosi (Dio, la fede, Cristo, la Chiesa, la vita, la morte) non si possono commisurare con le cose del mondo almeno nei modi e nelle misure di quel tempo; è un merito in quanto questo atteggiamento è così genuino e sincero da poterlo considerare scevro da ogni fazioso interesse e per i costumi di quel periodo era un atto eroico, di profetica sapienza.

Il Muratori non era certo un facinoroso precursore del rinnovamento sociale e politico. Ha preferito, per il contesto storico in cui viveva, stabilire le regole essenziali della morale politica e sociale, il diritto al benessere di tutti, l’uguaglianza degli uomini, il paterno governo dei principi, legato a leggi equanimi e leali. Egli attribuiva più rilevanza al benessere del popolo piuttosto che a una volubile libertà, in tempi in cui il termine “libertà”si avvicinava all’idea di sovvertimento sociale e rivoluzione sanguinaria. Tuttavia sapeva mettere sempre l’uomo al centro, anche dinanzi a tradizioni e consuetudini ben radicate.

Basta pensare alla sua presa di posizione a favore della riduzione del numero delle feste di precetto che, a quel tempo troppo frequenti, impedivano al popolo di lavorare con continuità, seguendo cadenze e ritmi che la vita agricola e artigianale imponeva. Come sacerdote sapeva anche affrancarsi dalle tradizioni della liturgia, per lo meno quando queste appartenevano al bagaglio delle cose mutabili. Egli infatti seppe difendere le richieste del popolo nella sua disputa col il cardinale Querini di Brescia intransigente difensore delle feste di precetto e l’autorità papale favorì il moderato Muratori, riducendone di fatto, l’eccessivo numero.

Nelle sue opere non dà molta ridondanza al concetto di libertà perchè, come scrive G. Falco con una vena di ironia,« ciò che più colpisce il Muratori non è l’affermazione di libertà, ma il turbamento che ingenera nell’ordine costituito. Un principio legalitario di patti stabiliti, di prescrizioni, di “quieta non movere”presiede alla sua concezione politica » (La cultura illuminista in Italia, a cura di M. Fubini, ed.Eri. 1964, p .419). Ma è una moderazione che intriga, che si proietta verso il futuro senza esigere palingenetiche aspettative, che costruisce per una società migliore senza egolatrie. E’ una giudizio sobrio e ponderato che fonda le sue ragioni nell’intelligenza politica e nei parametri degli insegnamenti evangelici.

Se constatiamo che per il Muratori cultura, costume civile, paterno governo dei principi, vanno attribuiti non ad una conquista umana ma ad un gratuito dono di cui dobbiamo rendere grazie a Dio, forse non è opportuno irrigidirci o affannarci a soppesare le parole con un bilancino bifilare, bensì recepirle, in una visione teleologica, nella nostra vita interiore e concreta.

Nei luoghi in cui ha esercitato il suo carisma (Modena e Milano) si vive una fase culturale che accetta la discussione sui diritti dell’uomo e vuole che la gerarchia costituita diventi generosa e buona, illuminata e paterna. Un vero principe deve ripristinare leggi rispettose della dignità del popolo, del lavoro dei contadini, dei mercanti, degli artigiani, per condividere il benessere con tutti i sudditi.

L’ideale di Ludovico Antonio Muratori era una società dove regnassero armonia e sentimenti fraterni, dove vi fossero attendibili costruttori di benessere fisico e morale, in cui l’educazione alla civiltà non fosse egida dei ricchi ma strumento di solidarietà umana per quelle parti sociali fino ad allora dimenticate. Una società dove la miseria fosse un ricordo e la convivenza civile un’oggettiva speranza. Egli ci insegna a fare memoria del Male che ha corrotto la storia dell’umanità, a non dimenticare l’afrore lasciato lungo i secoli dalle brutalità umane. Per apprezzare la vita. Per rispettare l’umanità. Per intendere come dono di Dio, la civiltà conquistata.

Questi sogni non descrivono compiutamente la genesi della dignità umana ma sono prospettive culturali e sociali che fonderanno le istanze future di uguaglianza, fraternità, libertà e di convivenza fra i popoli.

***

Ludovico Antonio Muratori

Ludovico Antonio Muratori nacque a Vignola (Modena) nel 1672 da famiglia di modesta condizione. Nella regione natale condusse gran parte della sua esistenza, allontanandosi solo negli anni giovanili, quando assunse fra il 1695 e il 1700 l’incarico di bibliotecario presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, e più tardi, per brevi viaggi strettamente finalizzati a obiettivi di ricerca. Da questo punto idi vista egli incarna una figura di intellettuale tipica dell’epoca: l’erudito, in genere direttore di un a biblioteca, febbrile ricercatore, raccoglitore e ordinatore di fonti, compilatore di repertori, concentrato nel suo lavoro di vaglio critico, ma aperto alla comunicazione scientifica, prevalentemente in forma epistolare, con gli altri studiosi.
Successore nel 1700 di Benedetto Bacchini, già suo maestro, nella carica di archivista e bibliotecario del duca Rinaldo I D’Este a Modena, Muratori vi si applicò per tutta la vita riuscendo a conciliare tale impegno con gli obblighi derivanti dal suo stato sacerdotale (aveva ricevuto gli ordini a ventitre anni e per più di venti, dal 1713 al 1734, aveva avuto la responsabilità di una parrocchia), sia con le complesse vicende politiche del periodo (la corte estense dovette in più occasioni abbandonare Modena a causa delle guerre di successione). Rimase attivo fino al 1749, quando la cecità gli impedì di proseguire i suoi studi, e si spense all’inizio dell’anno seguente.
La produzione di Muratori è vastissima e partecipa, fin dalle prime opere, al clima di rinnovamento culturale che anima la penisola. I primi disegni della Repubblica letteraria d’Italia (1703) e le Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti (1708-1715) testimoniano l’aspirazione a svecchiare il sapere tradizionale, rompendo i vincoli dello sterile aristotelismo di matrice aristotelica in direzione di una cultura più utile e feconda, collegata a un progetto collettivo in cui gli intellettuali italiani possano riconoscersi.
Entro questo quadro di riferimento assumono un ruolo centrale gli studi storici del Muratori, inaugurati da uno scritto, La piena esposizione dei diritti imperiali ed estensi sopra la città di Comacchio (1712), originato dalla controversia politica che opponeva il Duca di Modena alla Santa Sede a proposito del possesso di Comacchio: per sostenere i diritti della casa d’Este sulla città contesa Muratori non di limita a un sistematico lavoro di verifica di tutti gli atti di donazione che nel corso dei secoli hanno condotto all’inglobamento della Romagna nello Stato della Chiesa, ma giunge più radicalmente a discutere in linea teorica il significato del potere temporale del papato e la natura stessa dei rapporti fra Stato e Chiesa.
E’ probabilmente sulla scorta di questo lavoro che nacque nel Muratori l’esigenza di poter disporre di un repertorio di fonti documentarie attendibile e facilmente consultabile, relativo ai secoli allora veramente oscuro del medioevo italiano. Nascono cosi i Rerum Italicorum Scriptores (Scrittori della storia d’Italia) pubblicati in 24 volumi fra il 1723 e il 1728, una vasta raccolta di cronache e documenti di storia italiana dal 500 al 1500 costruita attraverso la collaborazione, coordinata dal Muratori, di eruditi sparsi per tutta la penisola.



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