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Ludovico Corrao ed il “milazzismo”

Creato il 08 agosto 2011 da Diarioelettorale

La cruenta morte di Ludovico Corrao riporta alla memoria il ricordo di alcune indimenticabili pagine della storia politica, civile e sociale siciliana di questo dopoguerra. Dal terremoto del Belice, ed alle lotte ed alle idee che sono circolate intorno alla ricostruzione, e di cui Corrao fu uno degli artefici, alla vicenda di Franca Viola di cui fu avvocato, all’esperienza politica del milazzismo di cui Corrao fu tra i grandi protagonisti e lucido teorico.

Ludovico Corrao nasce ad Alcamo nel 1927 ed inizia l’attività politica con l’organizzazione delle ACLI, Associazione Cattolica Lavoratori Italiani, organizzazione sociale collaterale alla Democrazia Cristiana.
Per la Democrazia Cristiana viene eletto deputato, nel 1955, all’Assemblea regionale siciliana nel collegio della provincia di Trapani.

Qui in particolare ci si intende soffermare su quella parentesi politica che fu definita in maniera dispregiativa “milazzismo”, ma che forse varrebbe la pena di approfondire ulteriormente sul piano storico.

Un buon punto di partenza può essere, un pezzo di Giancarlo Macaluso del 2009 pubblicato integralmente qui e dal titolo : “Ludovico Corrao, il volto eretico e coraggioso della Sicilia anni ’50“:

Ludovico Corrao, parlamentare di lungo corso, ex sindaco di Gibellina, presidente della Fondazione Orestiadi, è un lucido signore avanti negli anni. E’ un pezzo di storia della Sicilia. Le cronache lo ricordano, oltre per il suo impegno a favore delle zone terremotate del Belice, anche per essere stato il protagonista di un’esperienza politica che alla fine degli anni Cinquanta portò la Sicilia alla ribalta nazionale con una maggioranza che più eretica non poteva essere: mischiava pezzi della Dc, con l’ Msi e il Pci. Vicenda che passa alla storia con il nome di milazzismo, dal nome del presidente della Regione che guidò quella carovana stravagante, Silvio Milazzo. Finita a gambe per aria, dopo meno di tre anni, per uno scandalo politico che vide Corrao, ancora una volta e suo malgrado, fra gli attori principali.

Sicilia. Anni Cinquanta.

L’isola è attraversata da persistenti refoli di inquietudine.

I democristiani la fanno da padroni a Palazzo Reale, a Palermo, sede del parlamento siciliano.

Intanto, si diffondono i sogni di industrializzazione alimentati da Mattei; la riforma agraria prende avvio con non poche difficoltà dopo le lotte contadine; la mafia è nel suo momento di trapasso dagli affari della campagna a quelli della città ed è intrecciata a doppio filo con politici e amministratori; il caso Giuliano, nonostante gli anni siano passati, è ancora fresco con il suo carico di flatulente mistero.
Insomma, il pentolone all’ombra di Montepellegrino ribolle di micidiale miscuglio: intrighi, affari, intrecci economici e potere.

Il potere.Esercizio che da queste parti viene ritenuto più soddisfacente di possedere una bella donna e infatti si dice che “comandare è meglio di fottere”. E infatti chi è escluso dal potere non si dà certo alle conquiste amorose, ma architetta mosse per fottere sì, ma l’avversario politico.
Insomma, in questo clima nasce il milazzismo, alchimia politica divenuta il paradigma del trasversalismo (che oggi in Sicilia sembra che sia tornato di moda)[ndr.in realtà non era mai passato di moda]*, di un certo modo spregiudicato di intendere la politica, un atteggiamento che non va tanto per il sottile, senza scrupoli, capace di mischiare il diavolo e l’acqua santa, democristiani e comunisti appunto, con pezzi del Msi.

Corrao ai tempi era un diccì. E malvolentieri parla di quell’avventura. Lo ha fatto poche settimane fa ricordando “Silvio Milazzo 50 anni dopo” in un convegno organizzato dalla presidenza della Regione siciliana. Per dire, in soldoni, che quella non fu l’impresa di intrallazzasti e avventurieri, ma il percorso di chi aveva di fronte, aperta e dolorosa una “questione siciliana” e voleva farci i conti, per superarla. La Sicilia affogava nei problemi ma restava una specie di luogotenenza dell’impero romano che poco aveva a cuore i problemi dell’Isola che si chiamavano sviluppo e sicurezza.

“In tale avventuroso cammino – dice Corrao – incombevano pesanti ombre della violenza mafiosa assassina dei sindacalisti socialisti, di Portella della Ginestra, dell’oscuro agguato al separatista Canepa, dell’esecuzione mortale dell’arciprete di Gibellina, don Stefano Caronia che capeggiava le lotte dei contadini”. C’era Danilo Dolci, sociologo triestino trasferitosi a Trappeto da cui guidava le sue lotte non violente ma che subì “l’anatema del cardinale Ernesto Ruffini perché denunciava la cancrena dei poteri mafiosi”. Il milazzismo, cioè, nasce contro gli steccati e gli ideologismi: “Anticipammo i tempi; oggi è largamente consolidato il principio della libera scelta dei cattolici nei diversi schieramenti politici. Noi ne pagammo il prezzo con la condanna cieca del Sant’Uffizio”. L’eresia di Corrao si chiamava Unione siciliana cristiano sociale, formazione con cui tentò di contrastare l’egemonia romana dando così vita all’esperienza autonomista del milazzismo (l’elezione avvenne nell’ottobre di cinquant’anni fa).
“Solo la miopia e la faziosità politica possono ancora blaterare di congiura di Palazzo – ragiona Corrao – espressa dalla rivolta autonomista e del primo governo Milazzo”. Insomma, il vecchio politico mezzo secolo dopo difende la posizione. “Solo facendosi tardivi megafoni degli interessi colpiti dall’operazione Milazzo – dice – si può ancora trasmettere l’idea di un pasticcio in salsa siciliana”. Perché, rievoca Corrao furono bastonati “gruppi speculativi che vanno dai petrolieri americani, ai corvi dell’industria mineraria, ai mafiosi annidati e cacciati via dai consorzi di bonifica, ai gruppi finanziari dell’elettricità battuti nelle pretese monopolistiche”.

Come la si voglia pensare, quella parentesi fu chiusa nel volgere di pochissimi anni. A Milazzo gli “conzarono la gaggia”, prepararono la trappola, nelle stanze liberty dell’Hotel des Palmes, in via Roma. Siamo nel 1960. Il democristiano Carmelo Santalco fu l’uomo che lo scudocrociato mandò in una missione da 007. Il suo compito era quello di fingere di essere disponibile a “vendersi” a Silvio Milazzo. In cambio avrebbe ottenuto un assessorato regionale e cento milioni di lire.
A condurre l’operazione proprio Ludovico Corrao. Che mani e piedi cadde nelle “gaggia”, nella trappola. Santalco denunciò all’Assemblea regionale il tentativo di corruzione politica e il governo Milazzo morì.


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