C'è qualcosa di commovente o quantomeno atipico nel vedere un grande scienziato che prende la parola dal palco di uno splendido teatro ottocentesco nel centro di uno di quegli angoli di mondo che ancora rimangono a ricordarci giorno per giorno il significato del "bello" e che spesso mi mancano quando passeggio di fianco al cantiere della Darsena o quando vedo i condomini di Lambrate dal finestrino del treno.C'è qualcosa di ancora più commovente o quantomeno atipico nel vedere una folta platea di gente non selezionata, appartenente a sottoinsiemi così diversi di questa nostra società, che lo ascolta in silenzio, per quasi due ore, decantare le magnifiche proprietà di neurotrasmettitori e lumache, trasmissione serotoninergica e aree di Broca.Ammetto. Sono di parte: lo scienziato è Erik Kandel, premio Nobel per la medicina, neurofisiologo di fama mondiale nonchè autore di uno dei pochi libri (Erik Kandel - Principi di Neuroscienze) che ho avuto davvero modo di apprezzare in 6 anni di studi "lunghi et faticosissimi" e che, da tempo, mi affanno invano a cercare tra gli scatoloni di casa, ogni volta con livelli di speranza in declino. La città, invece, è Bergamo. La parte alta, per essere precisi. Teatro Sociale, via Colleoni 3 per essere quasi maniacali.E' nel matrimonio di queste due componenti, apparentemente così differenti tra loro, che sembrano risolversi secoli di conflitto ideologico tra umanesimo e scienza, quella galileiana, con la S maiuscola. Senza attriti.In una domenica pomeriggio con i negozi aperti ci sono decine e decine di persone quasi infreddolite al tramontare del sole, che disegnano una fila indiana attendendo l'apertura delle porte per accaparrarsi i posti migliori. Molti rimarranno fuori, a guardare quello che succede all'interno su un paio di schermi montati nell'atrio.Solo che, ad andare in scena, non è l'ultimo cantante prodigio (...) di Saranno Famosi o uno sparatutto Holliwodiano, ma la neurofisiologia in pillole.E' un piccolo miracolo quello di BergamoScienza (1-17 ottobre), manifestazione ormai arrivata alla (credo, ma poco importa), VIII edizione e capace di richiamare folle oceaniche assetate di un po' di cultura scientifica e con la voglia di sentire parole uscite dalla bocca della cosiddetta "gente che ne sa". Merce rara, di questi tempi.E' nato il 7 novembre del 1929 Kandel (l'ho letto su Wikipedia). Non è certo un giovincello, ma quando si mette in postazione, pronto a iniziare la sua relazione, con quel papillon rosso, sembra un ragazzino in fila per la prima comunione. Ma ci vuol poco, quanto apre il suo MacBook e comincia a far scorrere le prime slides, perchè ritorni un gigante.Siamo quello che ricordiamo - La memoria e la base biologica dell'individualità. E' il titolo della conferenza. Sicuramente impegnativo (anche per i traduttori simultanei che ascolto in cuffia e che, come studenti di medicina al terzo anno alle prese per le prime volte con i caratteri piccoli di quei lunghi capitoli, si perdono un po' disquisendo di inibizione dell'eccitazione sinaptica sulle vie di conduzione gaba-ergiche). Ma che importa? Il succo del discorso è chiaro (una semplice lumaca quale modello per lo studio della plasticità sinaptica neuronale alla base della memoria umana. Che, detto così, suona un po' criptico!) e sembra arrivare dritto al pubblico che, alla fine, applaude convinto. C'è spazio per le domande, tra cui quella di un signore bergamsco evidentemente disorientato (In futuro si potrà rimuovere la memoria come un chip e metterla nel cervello di un'altra persona? - Brividi!). Mi piacerebbe chiedere a Kandel se pensa che la sua carriera, la sua passione e le sue scoperte sarebbero state le stesse in questa italietta in cui si tagliano senza pietà fondi per cultura e ricerca, già nelle mani di vecchi professori attaccati al loro scranno in barba ad ogni meritocrazia. Ma, credo, ho paura della risposta e torno nel mio guscio, come una lumaca.Esco dal teatro e l'aria fredda mi punge un po' il viso. Guardo accanto a me e lo vedo lì, a pochi metri, con in mano una borsa di pelle e la moglie sottobraccio. Si incammina verso il centro di Piazza Vecchia, con lo sguardo perso in alto, verso la luna e la cupola della basilica.
Magazine Scienze
C'è qualcosa di commovente o quantomeno atipico nel vedere un grande scienziato che prende la parola dal palco di uno splendido teatro ottocentesco nel centro di uno di quegli angoli di mondo che ancora rimangono a ricordarci giorno per giorno il significato del "bello" e che spesso mi mancano quando passeggio di fianco al cantiere della Darsena o quando vedo i condomini di Lambrate dal finestrino del treno.C'è qualcosa di ancora più commovente o quantomeno atipico nel vedere una folta platea di gente non selezionata, appartenente a sottoinsiemi così diversi di questa nostra società, che lo ascolta in silenzio, per quasi due ore, decantare le magnifiche proprietà di neurotrasmettitori e lumache, trasmissione serotoninergica e aree di Broca.Ammetto. Sono di parte: lo scienziato è Erik Kandel, premio Nobel per la medicina, neurofisiologo di fama mondiale nonchè autore di uno dei pochi libri (Erik Kandel - Principi di Neuroscienze) che ho avuto davvero modo di apprezzare in 6 anni di studi "lunghi et faticosissimi" e che, da tempo, mi affanno invano a cercare tra gli scatoloni di casa, ogni volta con livelli di speranza in declino. La città, invece, è Bergamo. La parte alta, per essere precisi. Teatro Sociale, via Colleoni 3 per essere quasi maniacali.E' nel matrimonio di queste due componenti, apparentemente così differenti tra loro, che sembrano risolversi secoli di conflitto ideologico tra umanesimo e scienza, quella galileiana, con la S maiuscola. Senza attriti.In una domenica pomeriggio con i negozi aperti ci sono decine e decine di persone quasi infreddolite al tramontare del sole, che disegnano una fila indiana attendendo l'apertura delle porte per accaparrarsi i posti migliori. Molti rimarranno fuori, a guardare quello che succede all'interno su un paio di schermi montati nell'atrio.Solo che, ad andare in scena, non è l'ultimo cantante prodigio (...) di Saranno Famosi o uno sparatutto Holliwodiano, ma la neurofisiologia in pillole.E' un piccolo miracolo quello di BergamoScienza (1-17 ottobre), manifestazione ormai arrivata alla (credo, ma poco importa), VIII edizione e capace di richiamare folle oceaniche assetate di un po' di cultura scientifica e con la voglia di sentire parole uscite dalla bocca della cosiddetta "gente che ne sa". Merce rara, di questi tempi.E' nato il 7 novembre del 1929 Kandel (l'ho letto su Wikipedia). Non è certo un giovincello, ma quando si mette in postazione, pronto a iniziare la sua relazione, con quel papillon rosso, sembra un ragazzino in fila per la prima comunione. Ma ci vuol poco, quanto apre il suo MacBook e comincia a far scorrere le prime slides, perchè ritorni un gigante.Siamo quello che ricordiamo - La memoria e la base biologica dell'individualità. E' il titolo della conferenza. Sicuramente impegnativo (anche per i traduttori simultanei che ascolto in cuffia e che, come studenti di medicina al terzo anno alle prese per le prime volte con i caratteri piccoli di quei lunghi capitoli, si perdono un po' disquisendo di inibizione dell'eccitazione sinaptica sulle vie di conduzione gaba-ergiche). Ma che importa? Il succo del discorso è chiaro (una semplice lumaca quale modello per lo studio della plasticità sinaptica neuronale alla base della memoria umana. Che, detto così, suona un po' criptico!) e sembra arrivare dritto al pubblico che, alla fine, applaude convinto. C'è spazio per le domande, tra cui quella di un signore bergamsco evidentemente disorientato (In futuro si potrà rimuovere la memoria come un chip e metterla nel cervello di un'altra persona? - Brividi!). Mi piacerebbe chiedere a Kandel se pensa che la sua carriera, la sua passione e le sue scoperte sarebbero state le stesse in questa italietta in cui si tagliano senza pietà fondi per cultura e ricerca, già nelle mani di vecchi professori attaccati al loro scranno in barba ad ogni meritocrazia. Ma, credo, ho paura della risposta e torno nel mio guscio, come una lumaca.Esco dal teatro e l'aria fredda mi punge un po' il viso. Guardo accanto a me e lo vedo lì, a pochi metri, con in mano una borsa di pelle e la moglie sottobraccio. Si incammina verso il centro di Piazza Vecchia, con lo sguardo perso in alto, verso la luna e la cupola della basilica.
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