Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 13, 2011
da qui
Ricordi quella volta che partimmo
per cercare un disgraziato di cui
conoscevamo il nome di battesimo
soltanto, ma bastava
per te che ti aggrappavi ad un appiglio
qualsiasi quando si trattava, ormai,
di salvare qualcuno dall’abisso
e quella volta Antonio
lo avrebbero ammazzato gli usurai.
Ma pensavi anche a me,
alla mia solitudine infinita,
al bisogno di affetto che faceva
della mia vita un cielo
senza stelle, triste come un bambino
che la mamma dimentica di amare.
Forse è questo il motivo per cui il viaggio
diventò l’ossessione di dipingere
una luna splendente in mezzo al nero
dei pensieri, della malinconia
che accanto a te, miracolosamente,
svaniva come nuvola leggera,
lo spavento che di notte aveva
la faccia dell’ignoto,
per cui tiravo sassi alla finestra
della tua stanza, e tu scendevi pieno
di sonno, ma disposto a fare il gioco
che mi lasciava sempre senza fiato,
di mettere una luna in mezzo al cielo
e lo facevi sopportando ancora
la canzone che non smetteva mai,
quella voce di Togni ripeteva
che ero stato salvato dall’abisso,
che avevamo sconfitto gli usurai.