Fermarsi un attimo a pensare e riscoprirsi nuovi (diversi? ancora una volta?). Rendersi conto finalmente che non ci saranno opportunità oltre al presente e che tutto questo affannarsi non è servito a nulla. L’automobile rossa danza dolcemente ora seguendo lentamente un tornante ora ruggendo per salutare una salita. Daniela ride nervosa e volta la testa verso le montagne, ignorando il dirupo. Fermo l’auto in uno slargo, al di sotto il mare sbatte contro le rocce ed intona una canzone bellissima. Vado a sedermi su un sasso, i gomiti sulle cosce, il viso tra le mani – resto ad annusare aromi che non conosco, l’odore dell’oceano freddo e sconosciuto e lo sguardo abbraccia le sterpaglie punteggiate di lilla e i roccioni a picco sul mare e le piccole insenature di spiaggia bianchissima. L’odore di salsedine mi ripulisce dentro. Ancora in auto, il cambio automatico toglie tutto il divertimento. Daniela non parla, la radio suona gli Stone Temple Pilots. Kilometri e kilometri di natura assoluta, ogni tanto il planare di un’aquila, poi d’improvviso, come un regalo, la pianura. Altro slargo. Un ragazzo sta seduto a gambe incrociate sopra il tettuccio di una vecchia auto, guarda rapito l’orizzonte. Di fronte a noi, sentieri si srotolano tra alti cespugli color salvia, il lilla lasciato qua e là in punta di pennello e poi, oltre un muro di vegetazione, la sabbia fine e bianca e le rocce e ancora il mare. Allargando lo sguardo, a destra i dirupi imponenti, a sinistra una lunga e sottile penisola di sabbia e un vecchio faro in punta. Scavalco il guard rail e mi addentro in qualcosa di grande e indescrivibile, rispecchiandomi in quella solitudine che ha sempre fatto parte di me, anche se non ho voluto ammetterlo mai. Mi siedo sulla sabbia bianca e fredda lasciandola aggrappare ai pantaloni, vi affondo le dita, guardo lo schiumare tranquillo del mare, il suo dolce ruggire e il ritrarsi lento, le grandi alghe come tante piovre galleggianti. Sarei rimasta lì per un tempo indefinito, perdendomi nella notte come in un tardo romanzo di Kerouac. Poi, la mano di Daniela mi tocca leggermente su una spalla. Non so come abbia fatto a trovarmi, oltre quel labirinto da reginadicuori. Dovremmo restare qui, le dico. Trovarci un lavoro in un ristorante o in un negozio. Poi, nel nostro giorno libero, impareremmo ad andare sul surf. Ci arrostiremmo per bene le carnagioni diafane. Vivremmo la lentezza di questi luoghi. E ci lasceremmo alle spalle tutto quello che abbiamo avuto prima di arrivare qui e che – diciamocelo pure – è stato abbastanza uno schifo.
Negli occhi tristi di Daniela passa un lampo, una reazione velocissima che non saprei dire. Le leggo nel pensiero un Sarebbe bello. Risaliamo in auto in silenzio, ci godiamo gli ultimi scorci di tutto questo, fino alla frotta di turisti che fotografa goffe ed enormi creature marine, indolentemente spiaggiate e incuranti dei flash e del caos attorno a loro.
Alcune ore dopo, nel traffico della metropoli, col tramonto che cola rosso e viola da qualche parte oltre il nostro sguardo, mi compiaccio nel pensare che tutto sia di nuovo cambiato. Gli affanni di qualche tempo prima sono lontani. Forse è la giovinezza perduta o solo stanchezza o l’avere imparato che quel pezzo di puzzle che manca non sia da ricercare in qualcun altro o in qualcosa d’altro ma in me stessa – se davvero il pezzo mancante esiste.
Vorrei restare qui, trovare pace. Magari, anche Daniela smetterebbe di essere triste. Non si finisce mai di cancellare il passato. Sarebbe bello – forse anche più semplice – reinventarsi, partendo da qui – lontano da tutto ciò che sono e che ho.
L’indomani, Daniela ripartirà da sola, l’accompagnerò all’aeroporto e l’abbraccerò forte. Mi chiederà per quanto penso ancora di restare. Finché non termina l’aspettativa, forse. O più realisticamente, finché ci sono i soldi. Cercherò un lavoretto sulla Promenade, magari. Vorrei poter risolvere tutta questa rabbia che ho dentro.
Poi, una mattina di qualche tempo dopo, mi sveglierò nella cameretta di un motel e, senza una ragione apparente, capirò che è arrivato il momento di tornare a casa.