Magazine Cinema
Grecia, 2013
96 minuti
Jimmy, Mary, Makis. Rispettivamente: un apatico liceale di famiglia borghese, una giovane avvocatessa inappagata dai propri incontri sessuali, il gestore di un negozio di merci varie, con moglie e figli a carico. Tre persone all'apparenza comuni (o quasi), ognuna di loro con la propria vita fatta di (in)soddisfazioni quotidiane nel lavoro, nello studio, nelle relazioni all'esterno e all'interno della famiglia. Tre individui che nel corso della vita potrebbero non incontrarsi mai, ma che l'inesplicabilità del destino ha comunque deciso di congiungere sulla stessa strada, con risvolti assai inquietanti...
Breve aneddoto: ricordo che da ragazzino, rimasi parecchio impressionato da un film (Il Giorno della Locusta di John Schlesinger) esclusivamente per una sequenza, terribile, ovvero quella in cui un Donald Sutherland ebbro, calpestava con inaudita violenza il corpo di una bambina che giaceva a terra, su un parcheggio auto. Ecco, direi che un simile turbamento me l'ha restituito questo Luton, nell'efferatezza di una scena in partcolare, che ovviamente non svelerò perchè mai, come in questo film, è doverosa la preservazione di certi dettagli per non guastare la visione a chi non ha ancora avuto modo di fruirne. Viene spontaneo, per prima cosa, domandarsi quale sia la causa scatenante del germe endemico che continua a infettare la Grecia, anche dopo che questa si sta in qualche modo riassestando dalla stangata della recente crisi economica. Certo, la popolazione ellenica ne riporta comprensibilmente tutti i traumi visibili (come i segnali premonitori del disagio interiore di Jimmy, che possiamo captare attraverso un semplice gesto delle sue mani già a venti minuti dall'inizio), cicatrici chiaramente difficili da rimarginare. Ma dev'essere qualcosa che si annida proprio a livello genetico territoriale che stavolta, però, si propaga all'esterno del nucleo domestico (Kynodontas, Miss Violence), effondendone insidiosamente i miasmi per le strade; nei negozi, i locali, gli istituti. Inoltre, sembra che il focolaio lanthimosiano origine della cosiddetta new wave greca che nel corso degli ultimi anni ha visto formarsi veri e propri talenti, con la bomba ad orologeria innescata dall'ultimo arrivato in casa, Michalis Konstantatos, abbia ora incanalato tutta la perversa glacialità del cinema più nordico: da quello austriaco di Haneke e Seidl, fino a raggiungere la Danimarca di von Trier e seguaci. Probabilmente, mai come ora, Luton è quindi quel film a rappresentanza di una cinematografia che meglio di chiunque altra riesce a sconfinare dal proprio territorio, espandendone il suo contagioso cancro sociale a livello collettivo.
E diciamolo subito, Luton fa male, e parecchio; è un film che stende con la violenza di un calcio diretto nello stomaco senza nemmeno avere il tempo di chiedersi come, e perchè. Per poi affondare il colpo nel vivo della sensibilità dello spettatore lasciandolo riverso a terra, in uno stato di totale impotenza; violentato, privato di qualsiasi appiglio per tentare di comprendere anche la più banale delle motivazioni nella messa in atto di una ferocia disarmante per la quale, a subirne le conseguenze, saranno sempre i più deboli, gli indifesi e gli emarginati. Ma come dimostrano tristemente gli eventi della cronaca odierna, sembra non sussistere un sostanziale movente al dilagare di questa violenza contagiosa se non, forse, quello attribuibile all'espansione di un'ingiustificabile noia esistenziale o (più esilmente, a dire il vero) a quell'inasprimento dovuto alla condizione sociopolitica in cui vessiamo. E d'altronde, lo stesso Konstantatos non si pone la questione, non condanna e non assolve, semplicemente, ci sbatte in faccia una realtà cruda, disturbante, con la sola forza di una costruzione asciutta e silente che rinuncia fin da subito a qualsiasi orpello narrativo ed estetico (tipico taglio stilistico di fattura lanthimosiana, con inquadrature anticonvenzionali volte a confinare i volti ai margini dello schermo, ben attenti a non svelare l'altra metà oscura della propria personalità) attraverso una fotografia desatura, il cui pallore emanato dai fotogrammi è metaforicamente esemplare dell'inquietante rappresentazione di un'umanità ingrigita, avvolta nel cinismo delle proprie deplorevoli azioni. E' un film angosciante e pericoloso, Luton, perchè proprio nel suo calmo incedere apparentemente asettico, nella meccanicità dei gesti compiuti quotidianamente (lavoro, studio, cibo, sesso) cela ancora una volta quel morbo disfunzionale, marcescente, pronto a deflagare da un istante all'altro in qualcosa di veramente spiazzante dal quale, alla fine, se ne esce inevitabilmente atterriti, e tumefatti dai colpi inferti. Se pensavate d'aver trovato nel film di Avranas, il massimo sgomento di fronte alle aberrazioni che potevano generarsi all'interno del protettivo ventre famigliare, in Luton, troverete molto di più.
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