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Lutto nazionale per i migranti

Creato il 04 ottobre 2013 da Webnewsman @lenews1

Mathias Mougoué

LUTTO NAZIONALE PER I MIGRANTI

La tecnologia ci offre le possibilità prima solo sognate di rimanere in contatto con il mondo in ogni momento e luogo.  Tornando dal lavoro intorno a mezzanotte, con l’ausilio del mio telefonino mi sono offerto un momento televisivo nella subconscia speranza di scampare al pericolo di imbattermi di nuovo nella notizia funebre con la quale mi ero svegliato in mattinata. Il sociologo Luciano Pellicani era l’ospite del Tg notturno di un noto canale nazionale. Il Titolo del suo nuovo libro (“Contro La Modernità” ndr) non solo mi ha interpellato ma ha avuto l’effetto di rimandarmi con il pensiero alla tragedia di Lampedusa. Gli interrogativi del nostro autore sono chiari. Uno fra i tanti: “Perché in Italia è così difficile ragionare in maniera pragmatica su i problemi e le soluzioni?”

Oggi è Lutto Nazionale… Tenteremo di approfondirne il significato. Per la Repubblica Italiana come compare su Wikipedia “Le ordinanze di lutto sono solitamente accompagnate da alcuni provvedimenti che vanno dall'esposizione a mezz'asta delle bandiere della Repubblica Italiana e della Unione Europea posizionate negli edifici pubblici alla sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche e delle attività lavorative non essenziali”. Quello degli immigrati è un problema che spesso ha diviso l’Italia, gli Italiani e soprattutto i politici. Ha anche visto L’Italia e L’Europa porsi come avversaria l’una dell’altra. Basti pensare a quante volte gli esponenti della Lega Nord hanno apertamente dichiarato il loro rifiuto di considerare gli immigrati (clandestini en non) alla stregua dei cittadini Italiani o a quante volte si sono opposti all’intromissione dell’Europa in una “realtà italiana” che richiedeva soluzioni italiane anche se impopolari per il resto del Mondo.

Oggi, senza mezzi termini, i politici sono tutti concordi sul fatto che l’immane tragedia di Lampedusa pone tutta L’Europa di fronte ad un problema che non può rimanere della sola Italia. Improvvisamente la morte avvicina la figura dell’immigrato al cittadino Italiano e a tutta la Nazione Italiana al punto di far sì che si proclami il cordoglio della comunità per un lutto di particolare rilevanza.  Ci sono voluti 300 Africani morti durante l’attraversata del Mediterraneo verso la felicità: caduti durante il viaggio della disperazione. Ci scopriamo Tutti uniti per una nuova interpretazione della Modernità che richiede più coscienza umana: Un nuovo “Umanismo”. Sarà vero? Quanto durerà?

   Come sottolinea l’Huffington post, “Per quanto simbolicamente importante un lutto nazionale, come proposto dal deputato Pd Khalid Chaouki, non è una risposta sufficiente per l'ennesima tragedia davanti alle coste di Lampedusa”. No, non si può speculare sulla morte di poveri dannati per sciogliersi in un effimero buonismo. Questa è solo una nuova strage della vergogna (parola usata anche da Papa Francesco). Ce ne sono state altre. Ne parlavamo nell’articolo del 9 luglio scorso ancora presente su questa piattaforma (http://www.lenews.eu/politica/estera/il-papa-e-il-business-dei-migranti.html). Ci siamo già passati. Sappiamo che non si cambiano le condizioni dell’orrore con le parole. D’accordo. È tornata a far discutere la legge Bossi-Fini. Bisogna tuttavia tenere a mente che il dolore rimane, anche se la legge cambia. La nuova tragedia di Lampedusa che qualche giorno fa ne aveva già vissuta un'altra è la triste fotografia della politica dei tempi nostri. Tempi in cui i politici eseguono una macabra danza bantu: “Un passo avanti e due indietro”. Intanto gli emarginati, i non-cittadini, gli apolidi muoiono e si disonorano con il lutto nazionale di quelli che dagli stessi politici sono stati educati a non volerli. È la conseguenza diretta del fallimento della globalizzazione politica che cura gli interessi di pochi con il sangue di tanti. I potenti dell’Europa e dell’Africa pare si siano messi d’accordo per sacrificare gli indesiderati, gli sconsiderati.

Di questi tempi due anni fa (20 ottobre 2011) moriva il Colonello   Muhammar Gheddafi, assassinato da un complotto internazionale che ha fato della Libia il pollaio libero dove la fanno da padrone gli sciacalli che gestiscono il business dei migranti. Lui, il Colonello dava una grande mano a contenere i flussi della morte. Oggi forse qualcuno lo rimpiange mentre piangiamo e seppelliamo i morti che ormai sono di casa nostra e giustificano una Giornata di cordoglio pubblico.

 Siamo davvero preparati ad accettare il significato di lutto nazionale? Siamo consapevoli che ciò ci impone di fermarci a considerare chi non c'è più una parte di noi? Questi migranti facevano parte di noi o ci tranquillizza accettarli solo da morti? Siamo abbastanza forti da piangere per non aver saputo evitare che questa parte di noi che esclude allontana o non accoglie ci ricompensi con la morte? Accettiamo di integrare solo i morti e cioè siamo pronti a vivere il lutto con la voglia di non lasciare che il ricordo sia solo emozione di un momento, messaggio mediatico sterile e fugace?

Quando oggi ho visto sul mio telefonino la chiamata dello scrittore Aquilano Carlo Marchi con cui volevo discutere di quest’articolo, ho cercato di richiamarlo sùbito ma un messaggio del figlio mi ha frenato. A casa Marchi si piange il cane Krios, membro della famiglia per quindici anni che si è spento nel sonno. Con il suo solito sarcasmo, lo scrittore sembrava dirmi tramite il figlio: “Per quindici anni ho voluto, accettato, integrato e coccolato questa povera bestia diventata a tutti gli effetti cittadino di casa mia. Mi stupisce come non riusciamo ad accettare neanche per un giorno i nostri simili, i nostri vicini… Ora piangiamoli e seppelliamoli da umani.”. Queste parole nella mia testa si sono mischiate a quelle vere pronunciate da una signora, lavoratrice immigrata residente nel lodigiano: “Non si sono mai impegnati sufficientemente per aiutare a vivere. Adesso avranno soldi per funerali di massa…” Il Sociologo Pelliciani in quanto a lui ha chiuso la presentazione del suo libro con la stessa domanda che conclude l’opera: “Che Italia Vogliamo lasciare ai nostri Figli?” Speriamo non un’Italia cimitero di chi cercava speranza… Pensiamoci.

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