Ma che referendum “libero” è, quello composto da una sola domanda che dice: “Vuoi continuare a vivere?”. A parte qualche inguaribile romantico di fine Ottocento vittima di un amore non corrisposto o un esistenzialista obnubilato da una dose massiccia di barbiturici, quale altro essere umano potrebbe rispondere “no” a un quesito posto in questo modo? A Pomigliano d’Arco, il 22 giugno, gli operai dello stabilimento Fiat dovranno decidere se vivere o morire perché questo ha deciso Sergio Marchionne al cui cospetto il “falco” Cesare Romiti somigliava a un passero solitario appollaiato su un ramo mentre nevica. “Tutti contro la Fiom”, sembra il titolo di un film ma non lo è, si tratta piuttosto di una levata unanime di scudi contro chi sta cercando di dire che violare la Costituzione non è possibile, che lo Statuto dei Lavoratori è stato una conquista irrinunciabile e che, oltre al lavoro e allo stipendio da fame, c’è la dignità. Inutile negarlo, qualora il referendum passasse, e con lui il Marchionne-pensiero sul lavoro, si aprirebbe un conflitto relazionale fra industria e sindacato a causa del quale nulla sarebbe più come prima. E mentre Bersani, al solito sazio di piadine e in stato di perenne “nirvana” da lambrusco, si lascia andare a un “sì con riserva” chiedendo, però, che questa vertenza non sia “ideologizzata o portata a modello da trasferire in tutto il Paese”, dall’altra gli risponde il ministro Sacconi (quello che sta cercando di distruggere la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) con “è uno straordinario punto di riferimento per le relazioni sindacali-industriali”, facendo chiaramente intendere che il modello Marchionne è fatto apposta per essere applicato ad altre situazioni. Non sapendo più quali lavoratori stiano difendendo in questo momento la Cisl e la Uil, e con Epifani sempre più portato verso il compromesso con la Fiat, la Fiom resta l’unica che sta cercando di mantenere la barra dritta per non andare ad arenarsi verso la più letale delle deregulation. Non abbiamo mai avuto in tasca né la tessera della Fiom né qualsiasi altra tessera di partito o di sindacato, ma ci stiamo rendendo conto di nutrire, nei confronti del sindacato dei metalmeccanici, la stessa simpatia che abbiamo provato, da piccoli, nei confronti dei pellerossa contro i colonizzatori americani e di Vercingetorige contro i romani. Hanno tutto il paese, questo paese, contro e devono pure rispondere a Marchionne che accusa gli operai di Termini Imerese di aver scioperato “perché c’era la partita della nazionale” dimostrando quanto ancora permanga il vecchio campionario di dietrologia antioperaista nella testa della nouvelle vague di manager tagliateste. Secondo i criteri di politica industriale di “mister girocollo”, quello di Pomigliano d’Arco doveva essere un “accordo estremamente semplice” infatti sarebbe bastato un “si” e la semplicità si sarebbe palesata. “Ma come – avrà pensato l’ad Fiat – io ti faccio produrre la Panda e tu vuoi pure che rispetti i tuoi diritti?”. Marchionne non ha capito che, così facendo, ha scatenato un putiferio che ha costretto gli operai di Mirafiori a scrivergli una letterina ricordandogli i sacrifici da loro fatti per mantenere in piedi un’azienda che, in qualche momento della sua storia, era talmente decotta da trovarsi sul punto di chiudere. Ma Marchionne, per quanto originale e professionista voglia dimostrare di essere, non si è reso conto di far parte di quel gruppo sempre più nutrito di italiani che ha la memoria corta o non l’ha affatto, visto che è riuscito a dimenticare, ad esempio, che la democrazia è stata conquistata dalla Resistenza e non è arrivata per caso. C’è da dire che anche il sindacato non è esente da colpe. Per anni è vissuto di privilegi inaccettabili che hanno portato a una sorta di ribellione dei semplici iscritti nei confronti dei dirigenti o dei profittatori travestiti da sindacalisti. Ma la colpa vera del sindacato italiano è stata quella di aver contribuito a cancellare il concetto di “classe” e aver rotto il sistema di mutualità insito da sempre nel mondo del lavoro. Non c’è niente di più dannoso, per chi ha una delega di rappresentanza, del non capire il cambiamento dei tempi e dei processi in corso, e di non aver capito che, mentre la “classe operaia” sta morendo, quella imprenditoriale sta cambiando pelle al punto che non si chiama più “classe” ma “cricca” e che la consultazione di martedì prossimo si chiama “ricatto” non “referendum”. PS. Il Papa ha deciso di cambiare i vertici di Propaganda Fide. La “cricca” di cui sopra perde un pezzo.