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Ma che storia è questa?

Creato il 11 febbraio 2014 da Lundici @lundici_it
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È giusto che un bambino di 11 anni non debba conoscere la storia del nostro tempo? È giusto che non sappia niente di quello che è successo dopo la caduta dell’Impero romano? Ovviamente la risposta è no! Responsabile di quest’assurdità è la Riforma Moratti e questa riforma va, semplicemente, riformata!

L’11 giugno del 2010, al convegno in occasione del bicentenario della nascita del poeta Giuseppe Giusti, ho avuto il piacere di assistere alla conferenza di Cosimo Ceccuti, professore di Storia Risorgimentale dell’Università degli Studi di Firenze. Egli concluse il suo intervento lamentandosi di quanto, da un po’ di tempo a questa parte, in Italia si stia affievolendo sempre di più lo spirito nazionale, che invece all’epoca del poeta Giuseppe Giusti era molto forte.

Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano a Teano il 26 ottobre del 1860

Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano a Teano il 26 ottobre del 1860

Forse soltanto gli addetti ai lavori o quelli che hanno figli in età scolare, sanno che nelle scuole italiane si sta trascurando la nostra storia risorgimentale: alle elementari, con la Riforma Moratti, i bambini non la studiano più (si fermano agli antichi Romani!) e ne sentono parlare per la prima volta alla fine della seconda media, quando in un capitoletto si liquida tutto il processo di unificazione nazionale.

Ma il problema, purtroppo, non è soltanto quello evidenziato dal professor Ceccuti, il dramma ha colpito al cuore tutto il percorso di studi della scuola italiana e la Storia è la vittima più illustre.

Ma che storia è questa?…verrebbe da dire! Perché si vuole ridimensionare l’importanza della storia? Lo studio della storia non è solo un lungo elenco di date e di avvenimenti da ricordare (ci vuole anche quello!); è soprattutto comprendere il passato, immedesimarsi nei nostri predecessori, riviverne i loro stati d’animo, le loro paure o speranze, per trarne moniti o suggerimenti; in una parola, studiare la storia ci permette di crescere e maturare.

Si potrebbe riassumere dicendo che la Storia serve per conoscere il passato, comprendere il presente e intuire il futuro. I nostri ragazzi di 11-12 anni si sentono spaesati, non partecipano della cultura condivisa dalla società in cui vivono, sono costretti a non sapere: Gramsci o Napoleone, tanto per fare un esempio, sono per loro due perfetti sconosciuti e non riescono a contestualizzarli qualora guardino un film o assistano a un dibattito.

Secondo la Riforma Moratti, il Primo ciclo d’istruzione (la scuola elementare e media, o meglio, Primaria e Secondaria di I grado come hanno voluto ribattezzarle) prevede lo studio della Storia una sola volta per sei anni, dalla terza elementare alla terza media, secondo la seguente scansione:
• in Terza elementare si studia la Preistoria
• in Quarta e Quinta il Mondo antico
• In Prima media il Medioevo
• in Seconda dalla Scoperta dell’America alla fine dell’Ottocento (!)
• in terza il Novecento.
Ma qual è stata la logica perversa che ha determinato tale scelta?

Antonio Gramsci (1891 – 1937) è stato un politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano.

Antonio Gramsci (1891 – 1937) è stato un politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano.

Secondo il legislatore, tale scansione permette agli insegnanti di prestare maggiore attenzione all’acquisizione delle competenze anziché ai contenuti, in quanto l’insegnamento della storia deve essere finalizzato al “successo formativo” dei bambini.

In poche parole, il periodo che va dai 7 ai 9 anni è dedicato all’acquisizione di competenze metodologiche, mentre quello compreso tra i 10 e i 15 all’intero percorso cronologico e contenutistico. Queste teorie didattiche hanno dell’assurdo e mi piace citare a questo proposito Andrea Caspani, direttore della rivista Linea Tempo e docente di Storia e Filosofia. In previsione dei rinnovamenti che sarebbero stati introdotti con la Riforma Moratti, in un articolo del lontano 08/02/2000, egli ne smontava le motivazioni didattico-pedagogiche commentando che “Non si possono insegnare gli strumenti critici se non in riferimento all’oggetto a cui vengono applicati. Insomma, sarebbe come pretendere di imparare il nuoto prima di essere buttati in acqua.

Purtroppo niente fermò i legislatori e la riforma di lì a poco entrò in atto, prima fu introdotta sotto forma di sperimentazione, poi attuata in modo definitivo e, da allora, cominciarono i guai!

Il 31 agosto del 2013 sono andata in pensione, concludendo la mia carriera come docente di Lettere in una Scuola media, ma dopo 34 anni d’insegnamento nella scuola elementare. Quando in prima o seconda media, durante l’ora di letteratura o commentando un articolo di giornale o in altri frangenti, mi capitava di citare personaggi o episodi che dovrebbero far parte della nostra cultura anche prima dei 13 anni d’età, i ragazzi mi guardavano senza capire, né riuscire a contestualizzare… ma loro non ne avevano colpa!

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La colpa è di chi li ha privati di tutte quelle conoscenze che i loro coetanei di appena qualche anno prima, invece, avevano. Io li guardavo impotente e dentro di me mi arrabbiavo a morte: in nome del “successo formativo” (nessuno lo pone in discussione) sono stati ridotti tragicamente i contenuti, ma non è matematico che, diminuendo la quantità, si migliori la qualità! Ovviamente, la qualità dell’insegnamento dipende dall’insegnante, cioè da come opera in classe, non dalla riduzione dei contenuti del programma! Con la Riforma Moratti i ragazzi corrono il rischio di sapere poco e quel poco di saperlo male, rischiano cioè di non avere né conoscenze né tantomeno competenze metodologiche.

Proprio questa “rabbia” mi ha portato a scrivere, il 7 novembre del 2013, sul sito di Rai Storia quanto segue: “A proposito del vostro link intitolato La storia è un grande assente nella cultura contemporanea, non solo concordo, ma vorrei farvi leggere un messaggio accorato che ho mandato al Ministro della Pubblica Istruzione, da cui non ho avuto purtroppo alcuna risposta. Si tratta di una mia osservazione sullo scempio del programma di storia imposta alla scuola dell’obbligo e sul fatto che a nessuno interessi nulla.” Infatti, l’avevo scritto sia sul profilo FB del Ministro Carrozza che tramite e-mail, con l’intenzione di far conoscere queste perplessità “colà dove si puote ciò che si vuole”, ma nessuno si è degnato di rispondere.

Un tempo, alla scuola elementare si conoscevano “i fatti” e alle medie poi li approfondivano: da lì allo studio dei “concetti”, delle relazioni causa-effetto, ecc., il passo era breve e obbligato. Ora, invece, alle Medie è scomparsa la Storia antica e si comincia ex novo dal Medioevo. Perciò, di riflesso, anche il programma di Storia delle Medie è stato modificato, in peggio, poiché non è prevista la ripetizione dei contenuti. È uno scandalo aver ridotto il programma di storia della scuola elementare, pretendendo che i ragazzi delle Medie riflettano in poche lezioni su argomenti mai affrontati prima e di cui sono completamente all’oscuro.

I bambini delle elementari sono benissimo in grado di avere una panoramica più ampia riguardo agli argomenti storici e senza nessuna fatica o forzatura. Per questo motivo, ripeto, mi sembra così assurdo averli privati del cumulo di conoscenze che i loro coetanei di appena qualche anno prima possedevano e che sapevano utilizzare nei contesti più vari.

A questo proposito, alcuni anni fa ho letto un articolo di Panebianco sul Corriere della Sera, nel quale si critica questa situazione, giudicando assurdo che un ragazzino di 13 anni non sappia ancora nulla, per esempio, di Garibaldi o della Seconda Guerra mondiale. Io mi domando perché e a chi sia venuto in mente di assassinare in questo modo il programma di storia nella scuola dell’obbligo.

Non sono d’accordo sul fatto che i cosiddetti contenuti non siano importanti. Credo anzi che essi siano i mattoncini necessari per una crescita globale dell’individuo: anche i contenuti, naturalmente accompagnati da una didattica idonea, contribuiscono a creare i presupposti per far crescere i ragazzi, (il “successo formativo” di cui parlano i programmi) e a far germogliare in loro quello spirito critico tanto, giustamente, sbandierato dalla didattica sessantottina e che invece ha portato alla diminuzione vertiginosa delle conoscenze spicciole, figuriamoci di quelle più complesse.

Affinché questo sia possibile, appare dunque chiaro che i contenuti debbano essere ripetuti nei diversi cicli dell’istruzione dell’obbligo. Con la Riforma Moratti questo non succede e il risultato è sotto gli occhi impotenti dei docenti: i ragazzi, infatti, non riescono a memorizzare fatti e avvenimenti storici presentati una volta sola e quindi non potranno interiorizzarli e utilizzarli per conoscere la realtà in cui vivono, interpretarla, trarne monito e insegnamento.

La FLC (il sindacato di tutti coloro che lavorano nei settori della formazione) a questo proposito scrive: “I programmi nazionali in vigore fino al 31 agosto 2004, antecedenti la riforma, se è vero che costringono gli allievi a studiare per tre volte la stessa storia, danno tuttavia modo, almeno nelle scuole elementari, di impostarne l’insegnamento introducendo gradualmente i bambini alle difficoltà dell’apprendimento della storia”. Le mie osservazioni da semplice addetta ai lavori, supportate dal parere di persone ben più esperte di me, mi hanno convinta sempre di più che la Riforma Moratti vada riformata.

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I bambini di quinta di qualche tempo fa, possedevano maggiori conoscenze e maggiori competenze dei ragazzi di terza media di oggi e non mi riferisco soltanto alla Storia. Giovanni Floris ci spiega questo fenomeno nel suo saggio “La fabbrica degli ignoranti”. Egli afferma che ciascun Ministro della Pubblica Istruzione vuole apportare una riforma, credendo di migliorare la situazione. In realtà, dice Floris, la Scuola italiana è come un malato al cui capezzale si alterna una miriade di medici, i quali ogni volta danno una medicina diversa…ma il malato, invece di migliorare, peggiora sempre di più. Ecco, questa è la stessa sconfortante idea che mi sono fatta anch’io.


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