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Ma come fa una famiglia con 16 figli a sembrar "normale"?

Creato il 13 febbraio 2015 da Redatagli
Ma come fa una famiglia con 16 figli a sembrar

Sedici figli, venuti al mondo come conigli. Perché in tempo di Festival, con tanto di famiglia più numerosa d’Italia sul palco di San Remo, la citazione musicale è d’obbligo. In Toscana esiste un verbo ad hoc per definire tutto questo: “sconigliolare”. Per dirla in termini ancor più prosaici, appunto scopare come conigli.
Già, perché i simpatici leporidi rappresentano proverbialmente (e naturalmente) il trionfo della fertilità, l’esaltazione della famiglia numerosa, tutto grazie alla loro strategia riproduttiva: la cosiddetta “riproduzione indefinita” che, al contrario di quella umana, consente di partorire quanti più esseri possibili, indipendentemente dalla loro effettiva capacità e/o possibilità di sopravvivenza.
In poche parole, il coniglio se ne frega.
Scopa, mangia l’erba, figlia come un pazzo e se ne frega.

Perché il coniglio non ha bisogno di latte in polvere o di costosi omogenizzati. Non va a scuola. Non necessita di vestiti nuovi, libri, mense scolastiche, giocattoli, motorini, di un’educazione dignitosa e adeguata.
Il coniglio non ti chiede la paghetta e si nutre nello stesso punto in cui espleta le sue funzioni corporali. Niente pannolini che valgono quanto zaffiri per il coniglio, solo un mare d’erba.
E se si ammala, pazienza. Al coniglio non servono cure, medicine, nottate trascorse al capezzale di un letto, misurando la febbre ogni quarto d'ora e sperare che sia scesa almeno un po’.

(Questa utente è particolarmente orgogliosa della sua personalissima sconigliolata)

Oltre a farmi pensare ai conigli, vedere la famiglia Anania sul palco dell'Ariston mi ha profondamente offesa. Perché sotto gli applausi, sotto quelle domande frivole e le risposte deliranti dal retrogusto medioevale, sotto i riflettori che illuminavano un modello famigliare di stampo ottocentesco, si nasconde ben altro che qualche punto di share televisivo.
C'è l'immagine della donna sottomessa e regina del focolare, quella di chi ci considera ancora delle incubatrici atte solo a sfornare pargoli come fossero brioches calde.
E noi, complici passive, glielo lasciamo fare. Mettendo persino a repentaglio la nostra vita.
Perché sì, con 16 gravidanze nel giro di vent'anni una donna può anche morire.
Dall'altra parte però il capofamiglia Aurelio ha dimostrato una certa (falsa) modestia, sostenendo che non è tutto merito suo:

L'uomo con le sue capacità, l'intelligenza, non riesce a fare quello che vedete qua: questo lo fa solo il Signore, grazie allo Spirito Santo”, ha detto. E subito rimpiangi Sanremo '93, quando Renato Zero, da tempo smessi i lustrini e le piume di struzzo, intonò Ave Maria. Strappando persino un dignitosissimo quinto posto.
Al di là delle evidenti lacune in catechesi e persino nelle più elementari nozioni di teologia (per quanto riguarda quelle scientifiche, preferisco soprassedere), possiamo affermare con una certa sicurezza che non è stato lo Spirito Santo a rendere possibile il concepimento, né tanto meno sarà la divina provvidenza di manzoniana memoria che manterrà quei 16 bambini, bensì gli assegni familiari elargiti dallo Stato, insieme allo stipendio da custode all'Accademia di belle arti di Catanzaro percepito da Aurelio.

Da Famiglia Cristiana apprendiamo che:Ogni giorno c’è bisogno di circa tre chili e mezzo di pane e quattro litri di latte.
La casa dove abitano, in via Fleres a Catanzaro, è ampia 110 metri quadrati, in una stanza i sette maschi, in altre due le femmine.
La giornata tipo?
Per mamma e papà la sveglia suona alle 6.15, dopo la colazione i grandi vanno a scuola in autobus, i piccoli accompagnati da papà con il pulmino da nove posti parcheggiato in cortile.

Questo perché si ignorano (o meglio, si rifiutano) le regole base della contraccezione, tipo il preservativo, noto persino agli antichi egizi. E lo si fa con un atteggiamento medievaleggiante, à la “ipse dixit”, lo stesso che per secoli ha negato (e ci prova ancora) la discendenza dell'uomo dalle scimmie, bruciando donne e intellettuali sul rogo.
Senza chiedersi mai il perché, il come.
Accettando passivamente e indiscutibilmente tutto ciò che viene imposto dall'alto, secondo una visione del mondo verticistica, immobile, pericolosamente dogmatica.

Perché nel 2015, in uno stato laico e persino multietnico, in prima serata e in diretta nazionale, devo ancora sentir parlare di “Spirito Santo” sulla tv pubblica? Perché continuano a imporci un modello di famiglia così reazionario?
Perché non è stato chiesto a Tiziano Ferro, omosessuale (coraggiosamente) dichiarato, di raccontare la sua versione di famiglia?
Alcuni sostengono che gli Anania abbiano fatto da contrappeso all'ospitata di Conchita Wurst, una sorta di antidoto puritano alla barba della cantante en travesti. Perché, si sa, a tutti piace osservare il freak, ma è bene che se ne resti in gabbia, lontano dalla nostra cosiddetta “normalità”.
Ma non credo sia rilevante, in questa sede, abbandonarsi alle dietrologie e al complottismo. Il punto è che, anche a distanza di giorni, continuo a sentirmi offesa.
Come donna, come cittadina. Ma anche e soprattutto come futura madre.

Io non sono madre. Per lo meno, non ancora. Ma ho molte amiche che hanno già compiuto questo importantissimo passo. E ci parlo, con queste donne.
Le vedo svegliarsi presto la mattina, tornare tardi la sera. Faticando, arrancando, con tutti quegli obblighi e doveri che da sempre spettano alle madri, ma che oggi si sommano agli stipendi da fame, al lavoro precario, ad un'instabilità sociale e talvolta anche emotiva. No, la famiglia “straordinariamente normale” non sono gli Anania.
La vera norma oggi sono soltanto i genitori precari. Perché credo che oggi, già riuscire a metterne al mondo uno, di figli, costituisca il vero miracolo.

Deborah Macchiavelli
@twitTagli

 

Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l'ami
così sarai uomo di fede.
Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore:
ma non ho creato dolore.

(Fabrizio De André, Il testamento di Tito)


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