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Ma dopo Monti cosa sarà dell’Italia? Le incognite sul futuro fra editti "tecnici" e manovre "politiche"

Creato il 02 aprile 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

Dicono che la luna di miele fra il governo Monti e i cittadini si stia ormai esaurendo. Che i partiti, dopo la depressione iniziale, stiano rialzando la cresta. E che in fondo nel nostro Paese è inutile provare a riformare usi e costumi consolidati, a livello sociale come in politica, perché mai nulla cambierà per davvero. Ma mentre ci affanniamo a dare interpretazioni più o meno ardite del presente, il futuro è già lì che incalza alle porte carico di minacciose incognite. E se ancora teniamo alla pellaccia, se non vogliamo che l'avvenire prenda il sopravvento su di noi e sulle nostre vite, allora è forse il caso che ci sforziamo di domarlo e di cavalcarlo per costruire dal basso, tutti insieme, un'Italia diversa e migliore di quella della quale si è fatto scempio nei decenni alle nostre spalle. Stuprata, vilipesa, rinnegata e oggi impresentabile non solo a causa della condotta immorale dei partiti, che come dice Monti hanno un tasso di popolarità bassissimo a differenza del suo governo che registra stabilmente il gradimento di almeno un italiano su due, ma pure per responsabilità di una società che si è regolarmente piegata all'andazzo, sempre pronta a trarre profitto dalla cattiva politica in barba a ogni regola civile e ai principi di legalità.
Tuttavia, per immaginare un futuro più degno non si può prescindere dal fare i conti con la stagione di coloro che vengono definiti "tecnici" per etichetta ma che in realtà tentano di attuare misure assolutamente politiche che i partiti stessi, a destra e a manca, hanno puntualmente evitato di perseguire quando è toccato a loro di governare. Ed è questa la prima circostanza che ha fatto calare, da quando a Palazzo Chigi si è insediato quel misurato signore coi capelli bianchi per volere dei mercati, dell'Europa e di Napolitano, la fiducia nei soggetti politici tradizionali addirittura al 4%. Tanto che quando si discute animatamente della necessità di un ritorno della "politica" dopo l'attuale parentesi fuori dagli schemi, sembra che chi avanzi un simile auspicio non voglia tener conto del sentimento reale della gente. Col paradossale effetto che la medesima "politica" manifesti profondo disprezzo e insofferenza per un fenomeno che viene frettolosamente derubricato ad antipolitica e che per alcuni minerebbe alle fondamenta la tenuta democratica del Paese.
Più prosaicamente, leggendo nella mente di leader, leaderini e peones vari dei contenitori politici senza ideali sorti negli ultimi anni solo al fine di vincere le elezioni, il pensiero più ricorrente che sembra trasparire è il seguente: "grazie Monti per aver fatto il lavoro sporco che noi non avremmo mai potuto fare ma ora si accomodi alla porta, perché tocca di nuovo agli 'eletti' dal popolo". Cotante teste d'uovo mancano di contro di sottolineare che mentre quello fa - e bene - il lavoro sporco, la "politica" si distingue per il moltiplicarsi di scandali e di ruberie, e per l'assoluta tracotanza nel non voler rinunziare ai propri odiosi privilegi. Perfino una rappresentante di quella che dovrebbe essere considerata dagli italiani, negli ingannevoli sondaggi di queste settimane, la parte meno peggio della casta nostrana come la senatrice Pd Anna Finocchiaro, si è lasciata sfuggire che la "politica" i provvedimenti di Monti non li potrebbe mai varare perché perderebbe consensi. I consensi prima del bene comune, dunque. Il Pd, ma pure il Pdl o l'Udc, prima dell'Italia.
Sul suo blog Oliviero Beha, che a dispetto di talune ruvidità culturali facilmente riscontrabili dalle parti della sinistra antagonista e giustizialista è un convinto sostenitore del governo Monti, ha scritto che "c'è in giro un fortissimo sentore di presa per i fondelli". Da parte di chi? Ma dei partiti ovviamente. Che non riescono proprio a dissimulare il proprio fastidio per la presenza di un Premier e di un esecutivo che contribuiscono a metterli in cattiva luce semplicemente perché fanno ciò che va fatto senza perdersi in bizantinismi e in calcoli interessati. E che continuano - i partiti - a muoversi sulla scena dimostrando di non aver affatto inteso i cambiamenti sociali e culturali che avanzano sotto i loro occhi, ansiosi di duellare elettoralmente per riprendersi il posto del Professore "usurpatore".
Secondo Beha - e molto più modestamente anche secondo il sottoscritto - la "politica" sta perdendo una grande occasione. Vale a dire impiegare il tempo che ci separa dalle prossime elezioni non per vivere il complesso di Monti e per studiare come affievolirne la foga riformatrice, bensì per riformare se stessa nell'intento di riconciliarsi con la comunità nazionale. Perché se come dice la senatrice Finocchiaro i partiti non saprebbero (perché non vorrebbero) fare di meglio, nel frattempo qualcuno deve pur governare cercando di porre rimedio ai guasti del passato. E i cittadini osservano e sanno che se non c'è un'alternativa all'altezza di Monti è meglio tenersi lui e incalzare i partiti affinché si rinnovino.
I critici della gestione Monti, che guarda caso si annoverano prevalentemente dentro i partiti stessi e in maniera più marginale nella società civile, o sono "politicamente" schierati e quindi in malafede oppure rimpiangono lo scontro feroce fra berlusconismo e antiberlusconismo solo perché nel conflitto, di solito, si determina immobilismo e non trovano spazio le regole, e in assenza di quest'ultime prosperano gli interessi particolari delle corporazioni. Insomma, bisogna stare attenti a dare per morta la seconda repubblica che pare invece essersi solo dileguata in attesa di prendersi la rivincita nonostante i suoi protagonisti siano invisi alla polis.
Ma nel contempo bisogna aver coraggio da vendere nel sostenere che con Monti è morta la democrazia. Quale? Quella che ha partorito ministri, solo per citarne alcuni, come Brambilla, Calderoli, Pecoraro Scanio e Diliberto? Quella che ha consentito a personalità moralmente infime come Calearo, Razzi e Scilipoti, per limitarsi ai fatti più recenti, di determinare le sorti dei governi e pertanto di influire sulla vita dei cittadini? Mario Monti non è lì per caso ma per sanare le ferite di diciassette anni vissuti pericolosamente, un'epoca che ha aumentato a dismisura il debito pubblico e ha favorito una corruzione che quella della prima repubblica, al confronto, erano marachelle da infanti birichini.
Per questo bisognerebbe domandare ai sondaggisti che continuano a rilevare il presunto consenso degli elettori a partiti e a coalizioni molto probabilmente destinati a non sopravvivere a Monti, se gli italiani con un briciolo di sale in zucca e non facenti parte della ristretta cerchia di militanti e addetti ai lavori sentono davvero la nostalgia di Pdl, Pd, Lega, Idv, Udc e Sel. Se hanno ancora voglia di aprire la scheda elettorale per trovarci stampati i soliti simboli nonostante l'orrendo spettacolo offerto, ad esempio, da Lusi e la defunta Margherita o dal Consiglio Regionale della Lombardia o dalle cricche sorte all'ombra del potere berlusconiano o dai sindaci amanti delle cozze pelose. Se sono, soprattutto, ancora disposti a mettere una croce su quei simboli sapendo che magari le relative liste sono zeppe di figuri incapaci, di cialtroni candidati solo per sfuggire alla giustizia o per fare da passacarte al capo a cui essere riconoscenti.
Abbiamo un governo cosiddetto "tecnico", mal sopportato innanzitutto dai due principali partiti in Parlamento, perché senza avremmo fatto la fine della Grecia e non si tratta di un comodo pretesto o di un luogo comune. La cosiddetta "politica" politicante ha fallito. Ha sprecato anni ed anni di gestione della cosa pubblica portandoci a un passo dal baratro, per poi nascondersi dietro Monti lasciandogli approvare riforme dure e impopolari ma senza esagerare. Sì, perché se molti dei provvedimenti già varati o in fase di definizione, dalle liberalizzazioni al mercato del lavoro, hanno perso o perderanno efficacia per strada lo si deve sempre all'ingombro delle Camere dove continuano a sedere appunto quelli che ci hanno condotto sull'orlo del precipizio. E il ritiro della fiducia rimane in agguato, specie se Monti e i suoi ministri s'azzardassero a mettere mano pure ai meccanismi di funzionamento della casta ed ai suoi costi o se intendessero presentare progetti di riforma radicale della RAI e della giustizia o, come pure hanno inizialmente provato a fare, proponessero una tassa patrimoniale per rendere effettivamente equi i sacrifici fin qui imposti. Non possono farlo, a parere di alcuni noti cacicchi, perché non sono stati eletti e quindi calpesterebbero la democrazia.
Eppure, come più volte ribadito e come certificato dai maggiori istituti di indagine demoscopica attraverso sondaggi di gran lunga più corretti e credibili di quelli ancora basati sulle categorie di "centrodestra" e "centrosinistra", oltre la metà degli italiani ha fiducia nell'operato del governo e un'ipotetica lista Monti risulterebbe il primo partito del Paese alle elezioni del 2013 con il 24% dei voti. Nonostante il calo fisiologico di consensi sulla sua persona a causa della battaglia simbolica sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il Premier Monti continua inoltre a restare in testa nella classifica delle personalità politiche più in vista seguito - si pensi un po'! - non dai segretari dei principali partiti ma dai ministri Elsa Fornero e Corrado Passera.
Come ha acutamente notato Ilvo Diamanti dopo il recente sondaggio dell'Atlante Politico di Demos, sull'attuale scena pubblica italiana è come se si giocasse una partita a scacchi molto silenziosa fra partiti che non hanno leader e un leader vero riconosciuto come tale dai cittadini ma (ancora) senza partito. Perfino sulle cose da fare pare non esserci molta sintonia fra soggetti politici tradizionali ed elettori: 7 italiani su 10, infatti, auspicano che il governo Monti non si limiti ad affrontare le questioni strettamente economiche ma si occupi anche di temi sensibilissimi come, per l'appunto, la giustizia e il sistema radiotelevisivo. Un chiaro messaggio al Pdl arroccato nella strenua difesa dello status quo. Ma lo stesso gradimento registrato dalla ministra Fornero dimostra che la questione del lavoro, per quanto dirimente, per gli italiani vada in fondo dibattuta laicamente e senza far prevalere istinti conservativi. E in questo caso è il Pd che deve riflettere.
Del resto, anche laddove si dimostra che gli interventi del governo suscitano profonda insoddisfazione e contrarietà nella società - e la proposta di riforma dell'art. 18 è certamente uno di questi - ciò non basta a modificare il giudizio sostanzialmente positivo degli italiani su Monti e sul suo esecutivo. Perché, tutto sommato, i partiti sono ormai ritenuti peggiori "a prescindere" ed il loro atteggiamento ondivago rispetto all'esperienza Monti non fa che peggiorarne la reputazione. Il Pd, che in prima battuta aveva beneficiato dell'avvento del nuovo governo, ora sembra insofferente. D'altro canto il Pdl, che all'inizio aveva dovuto subire il cambio della guardia a Palazzo Chigi non perdendo occasione per rinfacciare al Capo dello Stato quasi un golpe, adesso, seppur tatticamente, non fa che schierarsi a difesa delle scelte di Monti. Due partiti che avrebbero dovuto cambiare per sempre la "politica" italiana alternandosi alla guida del Paese, e che invece hanno pagato l'inconsistenza dei loro governi e le irrisolte contraddizioni che li riguardano e che li fanno tremare ogni volta che si pronuncia la parola "scissione".
Perché per loro, che hanno rappresentato a lungo la "democrazia populista" dei partiti personali della seconda repubblica, come scrive di nuovo Ilvo Diamanti è francamente arduo calarsi nella mutata realtà montiana dello "stile personale", che non ricerca la fasulla imitazione della gente comune ma afferma il principio, tipico del segmento azionista legato alla tradizione liberale del secolo scorso, dell'aristocrazia democratica. La forza di Monti, del resto, risiede non tanto nel porsi "contro" i partiti, pur bacchettandoli ogni tanto con puntuti e giustificati editti, ma nel marcare la propria distanza da essi. E' forse l'ennesimo ma necessario paradosso della vita politica italiana che, venuto meno Berlusconi, si ritrova con due Presidenti forti come Monti e Napolitano in coabitazione forzata con un Parlamento smarrito e fragile e con partiti debolissimi e a forte rischio implosione.
La lunga analisi che precede non dirada i dubbi sul "dopo": sarà ancora Monti il futuro? Più volte e da più parti si è osservato che il buon lavoro dell'attuale governo non necessariamente dovrà avere come approdo naturale una discesa in campo del Professore alle prossime elezioni e nemmeno una sua riconferma "tecnica" a Palazzo Chigi nel segno della prosecuzione delle larghe intese fra le principali forze politiche, ma sarebbe utilissimo al Paese se i partiti o chi per loro definissero un progetto ed una nuova idea di società in continuità con l'apprezzato lavoro avviatosi a novembre dello scorso anno. Progetto e idea, però, avversati e temuti dai partiti medesimi forse ancor più che un vero e proprio soggetto concorrente montiano. Perché mentre appare del tutto scontato che un partito di Monti non nascerà, per espressa volontà dell'odierno Premier, i cittadini non disdegnerebbero affatto una piattaforma programmatica ispirata all'azione del suo governo.
Fra quei cittadini potrebbero esserci molti dei ben nove milioni di elettori, fra cui lo scrivente, che in assenza di una proposta di rinnovamento vero, sulla scia del riformismo pragmatico del governo Monti e a garanzia che le sorti del Paese non dipenderanno in futuro dagli ideologismi della Cgil né dagli interessi privati di Berlusconi, dicono ai sondaggisti che li intervistano che il prossimo anno difficilmente si recheranno alle urne. Si tratta di voti che fanno naturalmente gola a tutti, ma che possono essere intercettati solo rompendo radicalmente col passato anche più recente. Non solo al livello di facce, che quelle a cui siamo abituati sono mummie che ci hanno francamente stufati, ma innanzitutto in termini di credibilità e di affidabilità dell'offerta politico-programmatica.
Tuttavia non mi illudo, come senz'altro non si illude nessuno fra quanti rifiutano di tornare al passato, che per cambiare l'Italia si possa fare a meno dello stesso personale "politico" che ci ha ridotti così come oggi siamo. Ma i vari Alfano, Bersani e Casini, che stanno abbozzando non si sa quanto sinceramente un'intesa almeno sulla legge elettorale che avrebbe comunque il positivo effetto di fare piazza pulita delle forze antisistema, hanno bisogno di essere continuamente stimolati dai cittadini per non rischiare che ultimato il lavoraccio affidato a Monti si rifiutino di restare "sul pezzo" e tornino a far danni in nome di convenienze spartitorie. Se potessi, pertanto, rivolgermi a questi signori ricorrerei più o meno alle stesse parole utilizzate di recente da Massimo Teodori, durante un convegno romano sulla crisi dei partiti, nelle vesti di Pubblico Ministero e nella rappresentazione ideale di un processo alla seconda repubblica (che di seguito riporto) di cui gli stessi Alfano, Bersani e Casini sono stati attori di primissimo piano non immuni da colpe.
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- PROCESSO ALLA SECONDA REPUBBLICA -
PROLOGO
Il mio compito è facile, facilissimo. Fare il pubblico ministero sulle istituzioni è come sparare sulla Croce rossa. Durante la cosiddetta prima repubblica furono messi in essere diversi tentativi di riforma istituzionale e costituzionale ma nulla è mai arrivato in porto. Vediamo ora cosa è successo con la fallimentare "seconda repubblica", nelle cinque legislature che si sono susseguite dal 1994.
In Italia la malattia delle istituzioni è antica e i nodi da riformare sono sempre gli stessi:
  • un governo con scarsi poteri;
  • un parlamento con scarsi poteri;
  • una separazione dei poteri troppo poca separazione;
  • un sistema di controlli e garanzie molto debole;
  • uno Stato accentrato e burocratico troppo pesante;
  • una Pubblica amministrazione sgangherata;
  • una moltiplicazione delle autorità locali con la abnorme lievitazione della spesa pubblica;
  • uno strapotere dei partiti.
CAPI DI ACCUSA
Il disastro è stato totale.
Accuso l’intera cosiddetta “seconda repubblica” con gran parte del Parlamento di non aver fatto alcunché di ciò che doveva e poteva fare sulle riforme istituzionali.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi che hanno governato per due legislature piene, colpevoli di essere stati istituzionalmente ignoranti, politicamente incapaci ed immeritevoli di essere considerati classe dirigente. Avevano larghe maggioranze: avrebbero potuto fare ciò che volevano, ma senza un’idea in testa e senza alcuna responsabilità politica hanno dilapidato la forza data loro dagli elettori senza riuscire a combinare se non disastri.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi, colpevoli di aver propalato aria fritta ingannando i cittadini che avevano riposto in loro una speranza di modernizzazione istituzionale.
Accuso Bossi e i leghisti, colpevoli di avere ridotto una nobile idea sulla forma dello Stato, qual è il federalismo, a ridicola formuletta.
Accuso i Democratici, colpevoli di non avere saputo perseguire alcuna idea di rinnovamento istituzionale, baloccandosi con formulette intercambiabili in funzione conservatrice di un sistema parlamentare sempre più sgangherato.
Accuso la gran parte dei parlamentari, colpevoli di avere preso in giro gli elettori così come continuano a fare in questa stagione facendo credere che avrebbero fatto prodigiose riforme elettorali mentre stavano raccontando frottole nella consapevolezza che nulla si sarebbe mosso.
Accuso il Parlamento in gran parte dei suoi settori, colpevole di prendere in giro gli elettori con la buffonata del dimezzamento dei parlamentari che condurrebbe a un criterio di rappresentanza opposto a quello in vigore nei grandi paesi democratici - Inghilterra, Francia e Germania - con circa un eletto ogni cento mila elettori.
Accuso Berlusconi e berlusconidi di avere toccato l’apice del ridicolo inserendo il nome del “presidente” del consiglio sulla scheda elettorale, segno non solo di ignoranza, ma del massimo dispregio delle istituzioni.
Accuso tutti gli altri partiti, a cominciare da quello Democratico, di avere accettato la buffonata del nome del premier sulla scheda e gli stessi presidenti della Repubblica di avere permesso una tale gaglioffaggine costituzionale.
Accuso i berlusconidi, i leghisti e gli altri partner delle maggioranze dell’epoca, colpevoli di avere approvato la più ignobile riforma elettorale espropriatrice dei diritti dei cittadini (il porcellum) e di tentare ancora oggi, in mezzo a sotterfugi, di mantenerla in atto.
Accuso i Democratici, colpevoli di avere ipocritamente fatto finta di avversare il porcellum mentre approvavano la possibilità di nominare i parlamentari secondo la regola del centralismo democratico portato alla paranoia, come del resto è stato sperimentato in precedenza con il modello elettorale della regione Toscana.
Accuso gli apparati centrali di tutti i partiti, colpevoli di avere dato un colpo mortale al gioco democratico ed ai diritti degli iscritti e sostenitori rimpinguandosi del nostro denaro, utilizzato per costituire i tesoretti e, ancor più grave, per inquinare irrimediabilmente la democrazia interna.
Accuso in particolare il teorico del finanziamento pubblico, il tesoriere storico del PCI-PDS Ugo Sposetti, colpevole di avere assunto la regia della statizzazione dei partiti attraverso la costante ricerca dell’aumento del finanziamento pubblico volto al rafforzamento delle oligarchie partitiche centrali come il caso Lusi - certamente il minore - insegna.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi, colpevoli di avere ingannato i cittadini e in particolare quelli con spirito garantista facendo credere che avevano a cuore la riforma della giustizia mentre avevano in animo solo la difesa dei loro affari. E’ stata così persa ogni possibilità di riforme di tipo europeo e garantista, volte a migliorare il funzionamento della giustizia nell’interesse di milioni di cittadini.
Accuso i Democratici di avere sempre ciurlato nel manico sulla giustizia barcamenandosi di volta in volta tra un giustizialismo alla Marco Travaglio a rimorchio dei peggiori pubblici ministeri e un abile trasformismo tipo il new look di Luciano Violante.
Accuso Berlusconi e i berlusconidi di aver svenduto la dignità della politica approvando le leggi integraliste cosiddette “etiche” in realtà sui diritti civili, prostrandosi ai maneggioni della Conferenza episcopale italiana al rimorchio di clerico-talebani presenti in tutti gli schieramenti politici.
Accuso il partito Democratico di avere candidato ed eletto nelle proprie fila Paola Binetti, infiltrata nella sinistra dall’Opus dei e dai vertici ecclesiastici e vaticani.
Accuso tutti quei settori parlamentari, e in particolare l’UDC di Pierferdinando Casini di volersi fregiare della nobile etichetta “liberal” per nascondere un comportamento in pura linea clerical.
Accuso le altre forze, e in particolare i Democratici, di non avere fatto alcuna seria opposizione politica e civile alle leggi cosiddette “etiche” gradite da quel fior di gentiluomini che sono i Legionari di cristo.
Accuso la cosiddetta “seconda Repubblica”, e gran parte dei suoi parlamentari che si sono succeduti a Montecitorio ed a Palazzo Madama per quasi un ventennio, colpevoli di avere cianciato di rafforzamento delle istituzioni e di spirito liberale, mentre in realtà hanno dato al paese il più avvilente spettacolo di inettitudine, di disprezzo istituzionale e di tutela degli interessi particolari e personali.
SENTENZA
Il risultato di una stagione così buia della cosiddetta “seconda repubblica” è sotto gli occhi di tutti. Non c’è da meravigliarsi che la fiducia degli italiani nei partiti sia a livelli minimi, sotto qualsiasi ragionevole previsione. Oltre la metà degli italiani non vuole andare a votare, o non sa per chi votare o manifesta altre forme di protesta. E non c’è alcuna meraviglia che la maggioranza e più degli italiani abbia accettato con sollievo un governo extra-politico e un presidente del consiglio cosiddetto “tecnico”, nonostante che abbia messo in atto una politica di lacrime e sangue per tutti gli italiani. Come pubblico ministero chiedo di condannare ad una pena gravissima - il bando perenne dalla vita pubblica - non già la cosiddetta “seconda repubblica”, che è un’astrazione, ma la gran parte di coloro che ne sono stati i protagonisti.
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Fra un anno toccherà a noi elettori, che siamo il vero giudice della democrazia, tirare le somme dell'ultimo ventennio anche e soprattutto alla luce dei tentativi coraggiosi di Mario Monti di rompere coi vecchi schemi per riformare profondamente la società italiana. Nei mesi che ci separano dal voto riflettiamoci bene allora, perché giudicare il passato aiuta a pensare il futuro.


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