A cura di Bruce Wayne
Dagli di manetta.
Il sentimento comune degli italiani, quando qualcosa di eclatante accade, è questo: dagli di manetta. Poi quelli che hanno studiato – e che magari guardano con sussiego quello che chiamano “popolino” – dicono: occorre far valere in sede operativa il principio della certezza della pena. Ma è la traduzione aulica dello stesso slogan: dagli di manetta.
E così, di fronte ai fatti di Roma, in cui tal Gennaro detto ‘a Carogna ha fatto il bello e (soprattutto) il cattivo tempo, da quasi tutta l’Italia si è levato il grido: dagli di manetta. A lui e a quelli come lui. E per carità: non mi sognerò certo, in questa come in altre sedi, di contestare il principio della certezza della pena. Un cittadino deve sapere che, se delinque, andrà incontro a specifiche sanzioni. Però credo che ci sia da notare che non tutta l’Italia, dopo gli avvenimenti dell’Olimpico, gridava: dagli di manetta. Anzi, a Napoli c’è stato – ed è inutile nasconderselo: c’è – chi ha ritenuto che Genny abbia agito da “vero gentiluomo”. Da persona “ben educata”. Che ha semplicemente “collaborato alla tutela dell’ordine pubblico”. Altro che storie! Ed altro che storie provengono anche da molti politici nostrani, che si sono spinti a dire che la vera carogna non è Genny, ma i rappresentanti delle nostre istituzioni.
Insomma: calcio e politica sono un’ottima sintesi dell’Italia di oggi. Un’Italia che ha perso i vecchi punti di riferimento e, faticando a trovarne altri, si affida non di rado al primo capopopolo che passa. Spesso anche a scapito del rispetto dell’unità nazionale e delle istituzioni. Ma – qui sta il punto – basta gridare “dagli di manetta”? Se anche il calcio – e in generale lo sport, che dovrebbe veicolare il senso di una comune identità piuttosto che acuire la percezione di una reciproca estraneità – diventa motivo di scontro politico, basta ammanettare un po’ di persone per aver risolto la faccenda?
Diceva Pasquale Villari, all’indomani dell’unificazione nazionale, che il rifiuto delle istituzioni – che facilmente si traduce nelle forme più o meno organizzate di attività criminale – non si combatte solo con il carcere. Certo: il carcere serve. Ma oltre a rendere sconveniente il rifiuto delle istituzioni occorre rendere conveniente la pratica della legalità. E, cioè, occorre mostrare – non “far capire”, ma “mostrare” – che il rispetto delle regole del vivere civile non dà solo un premio morale, ma anche dei legittimi vantaggi materiali. Insomma: occorre che le istituzioni creino benessere, dal momento che è nel malessere che sguazzano quanti le rifiutano (ed hai voglia a dargli di manetta: se c’è malessere, verranno altri a sostituire quelli che giacciono al fresco).
E se è accaduto quel che è accaduto all’Olimpico, in occasione della finale di Coppa Italia, è del tutto evidente che l’Italia, il benessere, ha da troppo tempo dimenticato cos’è.