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Mad Max – Fury Road [Recensione]

Creato il 20 maggio 2015 da Paopru

Sabbia, gasolio, caldo e ancora sabbia. In una cornice che più polverosa non si può, George Miller inquadra la sua creatura più recente, resuscitando la saga da un lunghissimo sonno durato ben trentanni. Correva l’anno 1985 e la trilogia di Mad Max iniziata con Interceptor, trovava una sua degna conclusione con Oltre la sfera del tuono,  una pellicola per la quale era stata arruolata anche la celebre Tina Turner, la regina Aunty Entity. Il Mad Max del 2015 è un esercizio di cinema che lascia stupiti fin dai minuti iniziali, coinvolgendo lo spettatore in un 3D spettacolare e luminoso, come non se ne vedevano da un po. Tutto è arido e secco, l’umanità è stretta nell’abbraccio di un futuro apocalittico ove chi controlla l’acqua controlla il mondo.

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E’ una società patriarcale, nella quale i maschi sono combattenti e le femmine animali da riproduzione, costrette a fare figli e produrre latte materno fino allo sfinimento. Ma la catene portano miseria e la miseria conduce alla ribellione. Ecco allora che un gruppo di madri decide di fuggire dall’unico avamposto abitato nel raggio di centinaia di miglia, un luogo corrotto dal deserto e dalla sete di potere del deforme Immortan Joe, autoelettosi semi-dio e profeta di un culto che parla di guerra, immortalità e valhalla. L’ambiente estremo prova seriamente il fisico degli uomini, costringedoli ad usufruire di respiratori e fare costanti trasfusioni di sangue con dei malcapitati “donatori universali”. Tra essi l’ex-poliziotto Max, rapito, tatuato, torturato e infine promosso a sacca di sangue per il benessere dei figli della guerra, i seguaci maschi di Immortan Joe. In una corsa mortale tra dune e i kenyon si consumerà quasi il 100% del film, nella speranza delle ribelli di percorrere indenni la fury road e raggiungere le Terre Verdi, luoghi che un tempo avevano ospitato le prime madri e da cui proveniva l’Imperatrice Furiosa (Charlize Theron), serva dello spietato Immortan Joe e guida improvvisata delle Cinque Mogli.

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Il regista Miller stupisce tutti in questo suo ritorno alle origini, dopo una “sbandata” di qualche decennio dedicata a film quali Le streghe di Estwick, Babe maialino coraggioso e Happy Feet, carini ma agli antipodi del suo effettivo potenziale. Regista sicuramente eclettico, sperimentale ed innovativo, dall’alto dei suoi settantanni suonati scrive una pagina di cinema degna di essere letta e riletta e forse anche incorniciata.

Mad Max Fury Road seduce fin da subito, catapultando lo spettatore nell’azione senza perdersi in troppi preamboli. Lo script si compone di battute mai pronunciate in vano e il peso delle parole è tanto potente quanto quello dei silenzi, usati sapientemente per esaltare i paesaggi desolati e desolanti. Tom Hardy inscena un Max duro, rude, taciturno ma umano, e che lascia la scena a Charlize Theron, vera protagonista della pellicola fin dai primi minuti. Le coreografie degli spericolati inseguimenti sono il fulcro dell’azione, le quali cedono al realismo e all’arte visiva quasi in contemporanea. Cibo per gli occhi si potrebbe dire, mentre la soundtrack versa fuoco nelle orecchie di chi immerso nel buio della sala ne vuole di più, ne vuole ancora. Capolavoro? Direi del buon cinema, di quello che quando si esce dalla sala se ne sente già la mancanza.


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