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Madri interrotte

Da Pedagogika2

Medea - Delacroix, 1838, Musée des Beaux-Arts, LilleFreud definì “istinto di morte”una strana nostalgia del nulla e del caos risolventesi spesso in comportamenti distruttivi ed esplosioni di aggressività incontrollata. L'atto violento si presenta come un qualcosa che investe non solo l'individuo ma la società che lo circonda. In questo senso possono essere letti ed interpretati alcuni fatti che si affacciano alla cronaca di oggi. In questa tipologia rientra anche ciò che comunemente viene chiamato infanticidio.Occorre ricordare che l'istinto materno non è per niente connaturato alla natura umana, come ricorda Robert Briffault che al tema ha dedicato numerose ricerche,”l'istinto materno non è affatto un sentimento necessario ed universale ma si sviluppa solo secondariamente, dove esso possa portare qualche vantaggio e si dimostri di qualche utilità”. Ciò avviene in tutti gli animali, e nelle donne l'amore materno per i figli non appare come un istinto primario, ma si sviluppa solo con l'instaurarsi della relazione madre figlio ovvero del legame affettivo. E' dunque l'esperienza e non la genetica, a garantire il legame affettivo per la propria prole.I motivi per cui una donna può uccidere i propri figli in realtà sono molteplici, così come lo sono le modalità dell’atto. In particolare può essere interessante segnalare, il ricomparire nella cronaca del motivo di Medea, cioè dell’uccisione violenta del proprio figlio per soddisfare un proposito di vendetta nei confronti del proprio compagno. Si definisce “Sindrome di Medea” l’uccisione del figlio o dei figli, quasi sempre da parte della madre, per vendicarsi di torti, reali o presunti, subiti dal proprio compagno. Come il loro modello mitico, queste madri vendicative utilizzano, nel conflitto con il partner, il figlio come se fosse un’arma, un oggetto inanimato. Le somiglianze fra il figlicidio mitico di Medea e i casi attuali sono notevoli. Medea uccide i bambini non perché li percepisce come propri, ma perché “sa” che essi sono del loro padre.Anche nell’attualità, l’uccisione dei figli da parte di madri per la cosiddetta sindrome di Medea ha luogo in effetti in contesti di accesa conflittualità col partner, laddove la madre teme, a ragione o a torto, che il compagno le voglia sottrarre i figli. L’uccisione coincide allora anche in questo caso con l’estromissione del padre e con la realizzazione di questo desiderio di possesso totale sui propri figli. I figli diventano in questa prospettiva una sorta di materiale cui la madre ha dato la vita e a cui ella può conseguentemente anche toglierla, la madre spesso, soprattuto se il figlio è molto piccolo non sente nessuna differenziazione tra l'io del bambino ed il suo. Al di là della Sindrome di Medea, sono moltissime le motivazioni che spingono le madri al figlicidio. Ci sono casi di donne che sono solite maltrattare i figli e che un giorno, in seguito ad uno stimolo - come può essere il pianto del bambino - giungono ad ucciderlo; in genere queste donne vivono in situazioni particolarmente problematiche e hanno subito esse stesse violenze nell’infanzia.Altre volte il bambino è trasformato in un vero e proprio capro espiatorio di tutte le frustrazioni della madre, fino ad assumere le caratteristiche del vero e proprio persecutore in donne con sintomi deliranti o paranoidei; in altri casi ancora, al contrario, il figlio è ucciso perché la madre vuole salvarlo da un mondo che percepisce come particolarmente ingiusto e cattivo. Ci sono madri che procurano la morte dei propri figli per negligenza o “incuria”: l'omicidio avviene in modo passivo o per omissioni, una scarsa alimentazione, scarsa igiene, malattie non curate, incidenti domestici, cadute, ustioni, apparentemente casuali.Colpisce la carenza, non tanto dell' “istinto materno”, che abbiamo visto essere una costruzione culturale, ma del “mothering”, ossia l'istinto della “cura”.Esistono poi i mercy killings, od omicidi compassionevoli, in cui la madre uccide il figlio per sottrarlo al decorso doloroso di una malattia reale, e gli omicidi cosiddetti pseudo-compassionevoli, in cui l’uccisione di un figlio malato o handicappato è motivata invece dal desiderio della donna di liberarsi dalle proprie preoccupazioni più che da quello di evitare al proprio figlio delle sofferenze. Al contrario del difetto di cura, le madri possono uccidere anche per “eccesso di cura”In questo caso si ha a che fare con donne che non sembrano affatto negligenti o cattive madri, ma che anzi appaiono straordinariamente premurose. Viene definita come “sindrome di Munchausen”esse ricercano continuamente l’aiuto e l’intervento di medici sul proprio bambino, fino a portarlo alla morte per eccesso di trattamenti terapeutici. Non di rado inventano sintomi che i figli non hanno, o che esse stesse hanno procurato con la somministrazione di sostanze dannose, li espongono ad una serie di accertamenti, esami ed interventi che finiscono per danneggiarli o addirittura ucciderli. Queste donne in realtà non cercano aiuto per i propri figli ma inconsciamente stanno inviando una richiesta d'aiuto per se stesse, poiché sono consapevoli dei loro disturbi di personalità.Queste donne hanno spesso una difficoltà ad accettare la propria figura ed il proprio ruolo femminile, spesso hanno manifestato sintomi durante la gravidanza ma dopo la nascita del bambino possono accentuarsi poiché l'ideale del bambino che doveva nascere spesso non coincide con la realtà del nuovo nato, e così manifestano continue preoccupazioni per la salute del figlio che può trasformarsi in una pulsione violenta incontrollata verso il bambino.Oltre a queste problematiche ascrivibili alla patologia mentale vera e propria o solo ad un disagio, dovremmo inserire una certa componente sociale e familiare.Spesso ci si stupisce a leggere certi fatti di cronaca poiché si parla di contesti familiari “normali”, si ma cosa vuol dire “normale”? Le famiglie di oggi sono molto diversificate rispetto al passato e soprattuto diverso è il contesto sociale. Le famiglie di oggi sono spesso lasciate sole nel compito dell'allevamento dei figli, la rete di relazioni sociali è molto più ristretta. Certa propaganda mistifica il ruolo della donna-madre, o verso il basso o verso l'alto; da una parte la gravidanza viene presentata come un evento che biologicamente può essere vissuto anche oltre i quarant'anni (ma nessuno poi ti parla degli eventuali problemi legati alle disfunzioni genetiche), oppure viene descritta come qualcosa di limitante,invalidante, quasi che fosse una malattia! Le donne di oggi vengono seguite moltissimo dal lato medico durante le 40 settimane di gestazione ma dal parto in poi spesso la donna viene lasciata sola, qua prevalgono ancora vecchi stereotipi e vecchie tradizioni, spesso i sintomi di una depressione post partum vengono sottovalutati. Inoltre poiché viviamo in una società sempre più vecchia, è molto difficile relazionarsi con dei giovanissimi, proprio per un rapporto numerico, in questo caso la genitorialità può essere vissuta come qualcosa di opprimente, pressante, poiché le aspettative nei confronti dei neo genitori e del nuovo nato sono molto forti.
Simonetta Frongia
Creato il 24 agosto 2010

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