Nuove alleanze e vecchi affari. Un solido asse con la criminalità campana, la gestione dello spaccio di fiumi di droga e il serrato controllo del territorio attraverso le estorsioni. C’è tutto questo nell’operazione “Zefiro” che ha smantellato la cosca palermitana di Brancaccio, regno dei fratelli Graviano. Diciotto le persone arrestate dalla polizia di Stato che nella notte ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, possesso e uso illegale di armi da fuoco.
Il video dell’operazione “Zefiro” pubblicato dal canale Youtube “giornaledi sicilia“.
L’operazione “Zefiro”, che ha smascherato una rete criminale a Brancaccio che gestiva spaccio ed estorsioni. Le indagini, coordinate dai procuratori aggiunti Leonardo Agueci e Vittorio Teresi e dai sostituti Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli ed Ennio Petrigni, sono state eseguite dalla Sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile di Palermo, a distanza di due anni dall’operazione “Araba Fenice” del 29 novembre 2011. Centrale nella gestione degli affari del mandamento, la figura di Natale Bruno, uno degli arrestati, erede di Cesare Lupo, catturato nel 2011. Le indagini dei poliziotti hanno infatti accertato come le leve dell’economia mafiosa nella zona orientale cittadina – quelle tradizionali legate allo spaccio e al pizzo, e quelle connesse agli inediti rapporti intrattenuti con gruppi criminali campane – fossero azionate proprio da Natale. Nel giugno del 2012, quattro malviventi campani, soggiornarono in città e operarono furti ai danni di istituti di credito, avvalendosi delle coperture logistiche assicurate da un uomo fidato del boss. I quattro, poi fermati dalla Polizia, utilizzando congegni e dispositivi applicati all’interno o all’esterno degli sportelli bancari di cassa continua, riuscirono ad impossessarsi della cassetta impiegata dai correntisti per conferire i valori presso lo sportello bancario di loro pertinenza.
La modernità dell’organizzazione della rete criminale che gestiva “affari” a Brancaccio. Nella gestione del mandamento, accanto agli elementi sopracitati di “modernità”, le microspie della Mobile palermitana hanno rintracciato profili riconducibili alla più tradizionale ortodossia mafiosa, come il traffico di stupefacenti e la raccolta di fondi per il sostentamento delle famiglie dei carcerati, fondi che Bruno stesso si vantava di non aver mai eroso per interessi “privati”; registrando anche l’amarezza nei confronti di un codice comportamentale dell’uomo d’onore ormai desueto che, per esempio, non censura più l’adulterio. Nel corso dell’operazione è stato accertato il possesso di armi da parte del capo-cosca e di altri indagati. Il quadro tratteggiato dalle indagini ha ricostruito non solo l’attivismo dei soggetti organici a Cosa nostra, ma anche la totale disponibilità di persone a essa formalmente esterne, ricostruendo una fitta rete di complicità. (AGI)