di Matteo Zola
Qualcuno ricorderà il Pkk, il partito curdo dei lavoratori. Ebbene, la polizia di Venezia ha portato a termine ieri un’operazione contro alcuni membri dell’organizzazione oggi ritenuta terroristica. Anche se non è sempre stato così, almeno nel Belpaese. Quel che è interessante è come l’operazione contrasti pratiche come l’intimidazione, l’estorsione e la violenza a danno di cittadini turchi residenti in Italia. Insomma, metodi criminali non dissimili da quelli mafiosi.
Quando nasce il Pkk
Il Pkk nasce ad Ankara nel 1978 su iniziativa di Abdullah Ocalan, già leader del movimento studentesco curdo a inizio anni Settanta. Il partito nasce in un contesto particolare: è quella una Turchia militarizzata, membro Nato ma lontana dalla democrazia. L’esercito turco ha giocato un ruolo centrale nella storia moderna della Turchia, assurgendo a custode ultimo dei princìpi di laicità ed occidentalità, arrivando ad interrompere la dinamica parlamentare con ben tre colpi di stato (1960, 1971, 1980) seguiti da brevi governi militari volti, ufficialmente, a ristabilire i princìpi del kemalismo, ma, in realtà, a parte il primo caso, a reprimere duramente l’opposizione sindacale e politica. Il nazionalismo turco, inoltre, sembrava mettere a repentaglio la sicurezza delle minoranze nel Paese.
In questo contesto nasce il Pkk, e l’indipendentismo curdo è sostenuto da Grecia e Siria almeno fino alla fine degli anni Novanta. In Siria era “ospitato” lo stesso Ocalan che, perso il sostegno di Damasco, cercò rifugio in Russia. Su di lui pendeva un mandato di cattura internazionale. In Turchia lo attendeva una condanna a morte.
Ocalan, il Pkk e l’Italia
Da Mosca Ocalan giunse a Roma il 12 novembre 1998 accompagnato da Ramon Mantovani, deputato di Rifondazione Comunista. Il leader del PKK si consegnò alla polizia italiana sperando di ottenere in qualche giorno asilo politico. All’epoca al governo italiano c’era Massimo D’Alema, leader dei Democratici di Sinistra, neonata compagine sorta dal lungo trapasso del partito comunista. Fu così che il Pkk entrò nelle vicende italiche. Ne nacque una polemica politica. Anche perché Ocalan non ottenne in tempo l’asilo politico e venne “convinto” ad andarsene in Kenya alla faccia degli articoli 10 e 26 della Costituzione italiana che vietano l’estradizione passiva in relazione a reati politici. Attualmente Ocalan è l’unico detenuto dell’isola prigione di İmralı, nel mar di Marmara.
Da allora esiste in Italia una presenza di cellule del partito armato curdo e l’operazione della polizia di Venezia mostra anche l’involuzione del movimento. Nell’operazione sono stati arrestati cinque cittadini turchi di etnia curda aderenti al Pkk accusati di concorso nel tentativo di estorsione e di lesioni gravi, commesse con l’aggravante della finalità di terrorismo.
Una tassa “rivoluzionaria” estorta al kebab
L’indagine ha preso le mosse da un grave episodio di violenza, risalente ad alcuni mesi fa, sfociato nel pestaggio di un cittadino turco titolare di una rivendita di kebab della provincia di Venezia. Gli inquirenti hanno presto compreso la matrice politica della vicenda inquadrandola in un’attività estorsiva messa in pratica da un’articolazione operativa del Pkk, incaricata dell’esazione di una sorta di “tassa rivoluzionaria” ai danni di stranieri di etnia curda stanziati in Italia settentrionale.
Quello che colpisce, ed è stato rilevato dalle forze dell’ordine, è come le cellule del Pkk si muovano sul territorio nazionale con le peculiarità proprie delle comuni associazioni per delinquere. Non solo. L’operazione appena portata a termine segue quella del febbraio 2010, denominata Dugun, con cui si disarticolò la struttura italiana del Pkk dedita al reclutamento, indottrinamento e addestramento di giovani turchi da inviare a combattere per la causa separatista curda.
Dalle finalità politiche alle finalità criminali?
I metodi violenti, le estorsioni, il reclutamento coatto, sono elementi che spostano il Pkk nella sfera delle organizzazioni criminali benché la finalità sia ancora politica. Un pericoloso crinale che potrebbe portare il movimento curdo nella criminalità tout court il cui fine è solo l’arricchimento tramite attività illecite e la gestione di una qualche forma di potere attraverso la violenza. L’operazione della polizia di Venezia, condotta con metodologie proprie non già dell’antiterrorismo ma del contrasto al crimine organizzato, testimonia come l’involuzione del movimento curdo sia già giunta al punto di non ritorno.
Curdi moderati e movimento armato