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Se c'è una cosa di cui Magellano (1938, tit. or. Magellan. Der Mann und seine Tat) di Stefan Zweig non manca, queste sono le dichiarazioni di principio. Così, quando al capitolo sesto si arriva a parlare del senso della storia, rimaniamo anche sconcertati di fronte all'apparente subordinazione dei fatti al racconto. In realtà, lo scrittore austriaco non sta affatto dicendo che il resto non conta, ma solo che ciò che noi chiamiamo "storia" è una parte, già selezionata, di ciò che avvenne (e che avviene) e risente della volontà altrui di organizzare gli eventi.
Quando poi si tratta di strutturare la narrativa su un mito, ecco che emerge tutta l'acribia dello scrittore: Stefan Zweig imbastisce qui un romanzo colmo di dettagli, di particolari, di storie viste di scorcio, anche se il genio eroico prevale sempre sullo sfondo un po' sfocato dell'epoca. Il protagonista del racconto è senz'altro Magellano, di cui si racconta la parabola attraverso la quale emerge sugli altri marinai e avventurieri: l'uomo non è simpatico e non è colto, ma il suo estro, la sua determinazione e la sua esperienza sopravanzano di troppo la mediocrità e l'invidia che si trova intorno.
È vero: non c'è solo l'insensato prevalere della codardia, anzi. Ciò che colpisce il lettore, semmai, è l'insistenza di Stefan Zweig sull'acuto buonsenso che caratterizza l'ostilità dei compagni nei confronti della cieca determinazione di Magellano; L'eroe deve, fatalmente, agire contro ragione. L'enfasi, se ben si accorda a pagine emozionanti del racconto, diventa in alcuni casi perniciosa, giacché non si capisce bene a quale tipo di eroe Zweig si riferisca e in che modo si intenda estendere al di là del caso specifico le doti del protagonista. L'autore confronta spesso Magellano con altri conquistadores non meno noti, ma non mi pare che faccia delle qualità umane e morali un tratto distintivo dell'archetipo tragico, quanto della persona storica. Per dirla in altri termini, a mio avviso Zweig fallisce nell'estendere all'eroe in astratto ciò che è di Magellano "biografico" e viceversa. Abbiamo a che fare con un'eccezione, non con un ideale, e il protagonista non riesce a essere esemplare.
La forza "plastica" dell'eroe è frutto del genio, così come romanticamente lo intenderemmo noi (L'individuo singolo con la sua piccola vita fugace è pur sempre in grado di trasformare in realtà e in verità imperitura quello che a centinaia di generazioni è apparso puro sogno illusorio), distaccandosi dalla massa dei comuni mortali. L'uno crea il mondo, gli altri lo abitano e lo vivono, forse un po' lo esauriscono; mentre questi si fermano un passo più indietro dei loro limiti, quello si fa largo nella conoscenza, spingendo sempre più in là il traguardo. Né è causale, certo, che a proiettare il confine sempre più in là, si finisca con il frantumare la nozione stessa di limite, operazione dalla quale deriva l'apertura pressoché illimitata della circumnavigazione della terra. Qui ha ragione l'autore a porre le basi della modernità nel viaggio di un uomo che vanifica tutto il sapere medievale in fatto di geografia e antropologia attraverso una dimostrazione sperimentale.
Magellano di Stefan Zweig (tradotto da Lavinia Mazzucchetti e curato da Aura Miguel e Knut Beck) è un libro molto bello e, nei limiti delle ricerche al 1938, anche molto scrupoloso (nel resoconto statistico in appendice, direi addirittura maniacale, tenendo conto della natura e dell'intento dell'opera); è un "romanzo" dal quale si impara moltissimo e uno studio con il quale ci si diverte, in un'ambiguità più che feconda. Nell'abbondanza di punti esclamativi, nel suo impeto a trasferire su un piano universale, perde forse la sua carica assertiva, per farsi empatico slancio emotivo nei confronti del lettore e della sua modernità (fatta di autoritarismi ormai asfissianti in tutta Europa e, in special modo, in Germania), Né può stupirci, d'altra parte, date le premesse, che Stefan Zweig sia guidato da - e proiettato verso - un'idea profonda di libertà e apertura (anche traumatica) da tutti i vincoli storici:
Come già altre volte, mi persuasi che la via migliore e più feconda per spiegare a me stesso qualcosa di inspiegabile stava nel plasmarla ed esporla per gli altri. Così nacque questo libro, lo posso dire sinceramente con mia meraviglia! Mentre infatti cercavo di narrare questa peregrinazione del nuovo Ulisse con la maggior fedeltà al vero, in base a tutti i documenti accessibili, non mi liberavo dal senso strano di narrare una vicenda inventata, uno dei gradi sogni, una delle sacre fiabe dell'umanità. Non vi è però nulla di meglio di una verità che appaia inverosimile! Tutti i grandi eroismi dell'umanità, elevandosi al disopra della mediocrità terrena, serbano un elemento incomprensibile; ma appunto da quel tanto di incredibile che essa ha saputo compiere, l'umanità attinge la fede in se medesima.
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