Noi che eravamo adulti in quella fine di Luglio del 1914, [fummo] sorpresi dalla notizia più inaspettata e incredibile : la guerra, la guerra di cui avevamo solo letto nella storia e nelle cronache, che ci era apparsa una cosa irreale e irrealizzabile, una cosa d’altri uomini e d’altri tempi, in cui leggenda e fantasia avevano lavorato la loro parte, una fiaba di cui si poteva parlare soltanto con un profumo di mistero e di paura
Solo un anno fa la Prima Guerra Mondiale compiva cent'anni.
Il 28 giugno 1914 avveniva infatti l'attentato di Sarajevo in cui perse la vita l'arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono d’Austria-Ungheria, dando così fuoco alle polveri di quell'enorme polveriera che era l'Europa di quegli anni. Anni di tensioni e rivalità culminarono nel primo conflitto di scala mondiale che l'umanità avesse mai affrontato, il cui impatto in termini di numero di morti e livello di distruzione raggiunto fu tale da far sì che il conflitto sia ancora oggi ricordato come la Grande Guerra.
La Grande Guerra fu prima in tante cose: oltre ad avere il primato di prima carneficina mondiale fu anche la prima in cui vennero impiegate tecnologie militari modificando per sempre il rapporto tra guerra e industria, la prima in cui la manipolazione ideologica degli eventi divenne parte integrante delle strategie belliche delle nazioni coinvolte e il primo caso di ‘spettacolarizzazione’ del conflitto, grazie a giornali e radio che, su ordine di politici e ideologhi, esaltavano gli aspetti più truci e inquietanti della guerra manipolando a piacimento l'emotività della popolazione. Tutte caratteristiche che si accentueranno nei conflitti successivi ma che già qui non sfuggivano a acuti narratori come l'Eric Maria Remarque di Niente di nuovo sul fronte occidentale o il Ford Madox Ford di La fine della parata o Il fuoco di Henri Barbusse.
L'evento ebbe un enorme impatto anche sulla nostra letteratura, i cui migliori rappresentati sono praticamente nati in trincea: lì, nei momenti di pausa dei combattimenti, Ungaretti e Rebora scrivevano furiosamente le loro poesie che non rispettavano le convenzioni di stile e di lingua del tempo; ma era una poesia scritta nell’emergenza e che l’emergenza doveva restituire.
E' evidente a tutti che dopo fatti del genere non si può scrivere come si scriveva solo cinque anni prima. La letteratura ha un nuovo ruolo, quello di trasmettere la realtà del conflitto e le sue conseguenze sul concetto stesso di essere umano.
Così Emilio Lussu dedica un romanzo,Un anno sull’Altipiano, ai suoi ricordi di ufficiale di fanteria in prima linea, concentrandosi su un solo anno dei quattro che passò in guerra mentre Carlo Emilio Gadda, che la guerra l'ha vissuta principalmente da prigioniero in Giornale di guerra e di prigionia si tormenta sull'impossibilità di restituire la "vera guerra" al lettore che non l'ha vissuta.
Esperienze tormentate che hanno lasciato il segno come dimostra anche Curzio Malaparte ne La rivolta dei santi maledetti, in cui racconta della partecipazione degli italiani all’«inutile strage» e si immagina la ribellione delle truppe ai propri comandanti dipinti come degli inetti. Un atteggiamento opposto a quello del vate Gabriele D'Annunzio che come sappiamo fece dell'interventismo una delle sue bandiere, dipingendo i conflitti militari di un'aurea gloriosa che molti altri suoi colleghi hanno sconfessato e ribaltato.
Ciò che colpisce maggiormente è però l'assurdità di una simile carneficina, come testimonia uno dei capolavori di questi anni, Il sale della terra del poeta polacco Jozéf Wittlin a cui furono necessari vent'anni per riuscire a mettere per iscritto gli orrori di cui era stato testimone combattendo per l'esercito austro-ungarico. Come il suo collega ceco Jaroslav Hašek, autore del celebre Il buon soldato Sc’veik, Wittlin se la prende con l'intellighenzia militare, colpevole di crudeltà, inettitudine e totale disinteresse per le vite umane sacrificate per niente.
Ancora oggi si scrive e si racconta della Grande Guerra ma la sua lezione sembra essere stata accantonata molto in fretta se solo un ventennio dopo i suoi tragici eventi il mondo era di nuovo nel bel mezzo di un conflitto dalle conseguenze ancora più catastrofiche e oggi che di anni ne sono passati più di cento si sente periodicamente paventare lo spauracchio di un terzo conflitto.
Questo mese abbiamo perciò scelto di accompagnarvi in un viaggio indietro nel tempo per riscoprire quegli anni tragici e gloriosi, raccontate sia da chi visse quest'esperienza in prima persona, sia da chi negli anni '10 non era ancora nato ma ha voluto comunque esplorare questo periodo con le sue contraddizioni, il suo mistero e il suo carico emotivo. Ai già citati Remarque e Wittlin si affiancheranno autori come Andrea Molesini e Carla Maria Russo: ognuno di loro ci regalerà una prospettiva diversa ma altrettanto interessante e indispensabile per chi vuole davvero riscoprire un'epoca.