Il 15 marzo 2013, presso la 28 Piazza di Pietra Fine art gallery di Roma si è tenuta l’inaugurazione della mostra fotografica “Magnitudo Emilia”, arricchita dalla presentazione dell’omonimo libro; l’evento ha visto la presenza dei due autori Annalisa Vandelli e Luigi Ottani, accompagnati dal poeta romagnolo Davide Rondoni e Zingonia Zingone.
Ero già stato alla 28 Piazza di Pietra: una galleria sobria ed essenziale, con le sue pareti bianche dove oggi contrasta l’obbiettivo in bianco e nero di Luigi Ottani che spicca per i suoi silenzi parlanti. Quando cammino lungo il muro della galleria, osservando i racconti che Luigi ha bloccato nei suoi click, mi sento come sull’orlo di un precipizio e quando mi guardo sotto la scarpa pensando d’aver pestato qualcosa, mi accorgo che è la calce della voce sbriciolata sotto quei crocifissi e beccata da quelle colombe.
Dopo aver salutato Zingonia continuo a girare per la mostra e vengo attratto da uno scarno tavolo di legno con delle lampade da scrivania che illuminano dei piccoli pannelli bianchi a grandezza foglio, sui quali sono scritti i versi meravigliosi di Annalisa Vandelli, l’altra compagna viaggio di Luigi in questa esplorazione della maceria; Annalisa è la poesia di un corpo mutilo, la bellezza ritrovata nello stupro di case lasciate a cosce aperte sulla strada e che hanno perso da qualche parte una biancheria lacera di cielo. Un verso, dopo aver guardato l’installazione rappresentante un’enorme crepa nel muro a forma di croce, mi colpisce profondamente e apre a sua volta una crepa dentro di me: “Il gregge unito non teme il lupo”; si tratta del verso in corsivo che chiude Frate Indovino, uno dei componimenti che in questo libro mi ha più toccato, proprio per quell’essere come una mano che scava tra i mattoni per ritrovare qualcosa che è apparentemente inutile: “Un solo chiodo ha retto in proporzione più della parete che lo sostiene, fissando con rigore un’istituzione della casa: il calendario di Frate indovino” dove “I santi, le lune e i proverbi non si sono scomposti per nulla”.
Commosso, Zingonia mi presenta Annalisa con il suo ilare accento emiliano mentre ci prepariamo a scendere al piano di sotto per l’inizio della presentazione del libro. Dopo la bella introduzione di Zingonia la parola passa a Davide che riscontra nel libro anche una certa inventiva linguistica: “Magnitudo, gioca sull’intensità del sisma e sulla grandezza di queste persone” , “io non avrei mai pensato di inventare la parola Happycentro!” afferma; una grandezza che è stata tutta nel dover stare lì e assistere alla morte dei sacrifici fatti da una vita, il rimboccarsi le maniche per prepararsi a un trasloco obbligato, l’imposizione di chi ha trasformato la strada in una strettoia e la biforcata in un bivio: continua o abbandona.
Luigi e Annalisa rispondendo alle domande di Zingonia raccontano che il loro viaggio è iniziato dopo il tumulto mediatico sul terremoto, il loro è stato “un viaggio nel silenzio” cercando di “non cadere nella retorica né nella banalità” o meglio per cercare di mostrare, attraverso l’unione di foto e versi, che alla rottura del sisma corrisponde una congiuntura dell’arte e quindi dell’anima e degli uomini. Davide dice: “Queste foto sono piene di cielo, quasi che il cielo volesse entrare dentro le cose”, non so come mai mi viene in mente quella che Paul Cèlan chiamava “Atem wende” cioè “Svolta del respiro”; le chiese dilaniate fotografate da Luigi mi appaiono come i polmoni di un fumatore malato di cancro a cui abbiano aperto il petto ma è come se dentro vi palpitasse un respiro, dei fori dove la luce ancora può passare, quei punti di luce dove si concentra la vita.
Zingonia in chiusura azzarda la domanda impossibile: “Dov’era Dio in quel momento e dov’è ora?”, nel riflettere sulla risposta Annalisa ha avuto come una piccola scossa, questa volta non della scala Richter, poi con calma ha cominciato: “Le prime cose a crollare sono state chiese e luoghi di culto legati ai simboli, allora ho notato una cosa interessante, che “Simbolo” deriva dal verbo “Symballo” che significa “mettere insieme” e il suo contrario è “Diaballo” che significa “dividere”. Allora mi sono detta forse tutto è perduto… Poi ho visto che le persone si iniziavano ad aggregare insieme spontaneamente e chi magari si era visto una volta sola di sfuggita ora si ritrovava a mangiare sempre nella stessa piazza o a condividere le stesse cose.” Questa una delle affermazioni (ribadita nella bella prefazione di Francesco Genitoni) che mi è rimasta più impressa, rafforzata anche dal breve racconto di Luigi sulla nascita del libro prodotto in una tipografia già sinistrata e quindi improvvisata in un container, con la gentilezza degli altri che hanno regalato gli inchiostri necessari e con gli operai chiamati a lavorare nonostante le condizioni ostili.
Eccolo davanti a me ora il verso di Mario Luzi: “La fede è in te. La fede è una persona.” Quelle persone che come me non sono emiliane ma stasera sono venute, quelle persone che alla chiusura della presentazione si riuniscono per complimentarsi con gli autori e per mangiare il “Parmigiano terremotato” o per bere “Lambrusco terremotato”, perché l’Italia anche se nella galleria di Piazza di Pietra a Roma è questa. Rotonda come una forma di formaggio, frizzante come il vino, solida come la poesia, immobile come la fotografia.
È nella “z” marcatamente emiliana di Luigi Ottani che fa sorridere molti dei presenti che arriva “dolce fino alla spasimo l’umano” (con parole ancora di Luzi) dentro la maceria che ha un suo ventre; ha deciso di portare il suo corpo fuori dal cemento: “Quel cielo stanco di non vedere dentro alle cose” , “stanco di sentirsi tagliato fuori dalle vicende umane” dice Annalisa e di portarlo nell’aggregazione degli uomini: “Hanno suonato fino a tarda notte gli amici di Castrignano del Capo nel campo di Cavezzo. Hanno suonato la taranta/ e in tanti hanno ballato, scacciando demoni e dolori”.
Quando la presentazione finisce saluto Davide Rondoni e Zingonia, mi complimento con Luigi per le sue foto, per il suo lavoro e quello di Annalisa che insieme hanno aggiunto qualcosa di più al mondo e all’umano. Dopo aver comprato il libro Magnitudo Emilia ed essere uscito, grido (parlando da solo) la mitica frase che dice sempre Benigni commentando le terzine di Dante: “Una cosa d’una bellezza dammandare al Manicomio!!!”; prendo l’autobus per tornare a casa e mentre sfoglio l’opera per una prima occhiata mi capitano questi versi tra le mani: “Sai qual è il tuo problema? Lo stesso degli uomini: l’eternità” (Acetum 1906) e “ Ovunque tu sia/ sei ovunque” (Assenza).
Alessandro Vetuli